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Il "regime della destra" è una barzelletta

Qualcuno cerca di raccontarci che in Italia scarseggiano libertà di stampa, di espressione e di parola. Viene da chiedersi: ci prendete per scemi?
di Daniele Capezzone mercoledì 22 ottobre 2025

4' di lettura

Là dove manca il senso della misura, dovrebbe giungere in soccorso per lo meno il senso dell’umorismo. Se invece disgraziatamente scarseggiano entrambi, allora arriva inevitabilmente il momento in cui qualcuno cerca di raccontarci che in Italia c’è un problema di libertà di parola, di espressione, di stampa. Verrebbe da chiedere, con il sorriso e senza polemica: ma ci state prendendo in giro? Anzi, ci prendete proprio per scemi?

Dunque: se andiamo in edicola, con quattro o cinque eccezioni (non si va oltre le dita di una sola mano), l’intera offerta della carta stampata italiana non sta certamente a destra, ed è anzi spesso fortemente orientata a sinistra e contro il governo.

Se accendiamo la tv, sui principali canali pubblici e privati, la situazione è ancora nettamente vantaggiosa per la sinistra: dall’orientamento dei maggiori talk-show (con limitate eccezioni) alla grande maggioranza degli opinionisti e dei commentatori. Chi non è pregiudizialmente schierato contro il governo - semmai - vive portandosi addosso una specie di stigma negativo, perfino in luoghi teoricamente insospettabili. Nella “buona società” giornalistica e televisiva, non disporre di una patente di sinistra significa non avere i documenti del tutto a posto, e semmai avere buone chances di non essere affatto invitati o convocati, o di esserlo - tranne casi ancora limitati - in formule “uno contro tre” o “uno contro quattro”, sempre in trasferta, sempre come ospite “ostile”.

Nel nostro caso, le minacce subìte (da queste parti ne sappiamo qualcosa) non valgono, non vengono nemmeno registrate dal resto dei media. Non c’è neppure il piccolo rito del comunicatino di solidarietà. Curioso, no? Ora, che davanti a questa situazione si gridi al “regime delle destre” sta diventando una specie di barzelletta. La stessa (doverosa e sacrosanta) solidarietà a Sigfrido Ranucci per l’inaccettabile intimidazione di cui è stato oggetto è stata trasformata in una chiassata anche internazionale contro il governo. Ha cominciato una Elly Schlein sempre meno a suo agio nel controllo delle parole, e si è finito con la solita compagnia di giro (Libero di stamattina vi racconta ad esempio l’ultima piazzata di ieri) che si è messa a strillare in modo scombiccherato contro il governo e “le destre”.

Non è nemmeno servito che, per tre giorni consecutivi, con (purtroppo momentanea) serietà, Ranucci stesso avesse chiesto a tutti di tenersi alla larga da strumentalizzazioni politiche. Niente da fare. Al punto che ieri c’è cascato grossolanamente pure lui, mettendo in mezzo senza senso i giornali del gruppo Angelucci che lo avrebbero «delegittimato», come se il diritto di critica dovesse valere sempre da una parte ma mai dall’altra.

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Uno strano pendolino, un’oscillazione stravagante tra il “Ranucci uno” che riceve la solidarietà del nostro editore e dei nostri giornali e il “Ranucci due” che ci sparacchia contro a casaccio. Anzi, che teorizza la non criticabilità del suo lavoro. Nello Statuto Albertino la persona del re era definita “sacra e inviolabile”. Evidentemente- apprendiamo- la norma deve essere transitata pure nella Costituzione vigente. Fuor di battuta: qui rivendichiamo tutta intera la nostra vicinanza a Ranucci per l’attentato di cui è stato bersaglio, ma pure il nostro sacrosanto diritto a dissentire da lui.

Ma lasciamo per un istante Ranucci. Sta di fatto che, con questo innesco, i soliti noti sono andati avanti secondo il consueto copione: e cioè con una specie di “X Factor” permanente, una gara tra i migliori cervelli del progressismo nazionale per aggiudicarsi il ruolo di GR (Grande Resistente), di CP (Capo Partigiano) nel cupo AQEM (Anno Quarto dell’Era Meloni). Alcuni – i meno svegli – ci credono davvero o almeno si sono autoconvinti della logora commediola da recitare. Altri – meno guru e più paraguru – hanno capito perfettamente il gioco e l’hanno trasformato in un mercatino ultraredditizio.

Del resto, il meccanismo è collaudatissimo, e vale – le iscrizioni al talent show sono ufficialmente aperte – anche per qualche personalità eventualmente finita nel cono d’ombra. Basta travestirsi da “vittime del regime” per ritrovarsi magicamente al centro del palco, con i faretti delle luci che li illuminano a giorno. Segue un copione sempre uguale a se stesso: l’eroe (o l’eroina) è portato in processione come una madonna (laica) pellegrina, è premiato dall’Anpi, è ospitato da Fabio Fazio, e infine – dopo tutte queste sofferenze – firma nuovi contratti televisivi. Ovviamente continuando a frignare. E così la fabbrichetta dei martiri è sempre operativa, non chiude mai, e procede con lo stesso protocollo sistematicamente applicato e rigorosamente uguale a se stesso. È uno spettacolo unico: un mix di vittimismo ed esibizionismo, di chiagni e fotti, di ritrosia proclamata e di auto-ostensione praticata.

Ecco, questo collaudato format giova moltissimo a una serie di volponi. A pensarci bene, è proprio questa la vera casta della sinistra, anzi una supercasta di mandarini mediatici potentissimi, di vacche sacre inviolabili: una Suprema Cupola Politicamente Corretta che fa e disfa, giudica e disprezza, si erge a tribunale storico e a laboratorio di analisi della purezza etica. Pronta a resistere, e, nelle pause, a fatturare. È l’ora di dire che questo spettacolino si è fatto ripetitivo e soprattutto ridicolo.

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