Il segretario della Cgil, Maurizio Landini, una settimana fa, parlando del Piano di pace di Trump per Gaza (che non si capisce come rientri nelle competenze della Cgil), ha detto che la Meloni «si è limitata a fare la cortigiana di Trump». È scoppiata una polemica sul termine “cortigiana” perché - ha rilevato la premier, dizionario alla mano- significa «donna di facili costumi. Prostituta». Meloni ha giustamente tuonato: «Ecco a voi un’altra splendida diapositiva della sinistra: quella che per decenni ci ha fatto la morale sul rispetto delle donne, ma che poi, per criticare una donna, in mancanza di argomenti, le dà della prostituta».
Landini ha poi spiegato che lui, con quella parola, intendeva dire: «Stare alla corte di Trump, essere il portaborse di Trump». Un rattoppo riuscito male, senza scusarsi come avrebbe dovuto. Ma in questa frase c’è tutta l’irritazione della sinistra per il fatto che il governo italiano ha appoggiato la tessitura diplomatica del presidente americano e i fatti gli hanno dato ragione, mentre hanno dato torto alla sinistra che in Parlamento non ha voluto votare in appoggio al Piano di Trump.
La sinistra - che tranne alcune eccezioni non ha preso le distanze da Landini per quell’epiteto - ha poi utilizzato proprio il suo concetto del “servilismo” contro Meloni nel recente dibattito parlamentare sulla politica estera e ne ha fatto addirittura la sua linea. Tralascio chi al Senato ha definito la premier italiana «cheerleader» del presidente Usa. Ma la stessa Elly Schlein ha attaccato Meloni sostenendo che in politica estera «si fa dettare l’agenda da Trump». Secondo la segretaria del Pd, la premier invece dovrebbe stare al seguito di Ursula von der Leyen.
Idea alquanto bislacca perché (a) dimentica l’alleanza atlantica, (b) non capisce che è il presidente Usa oggi l’attore principale della pace e (3) perché la UE e i governi europei sul Piano di pace hanno avuto la stessa posizione del governo italiano. Va però notato il precedente storico. L’accusa “servilismo” verso gli Usa è una clamorosa replica della campagna propagandistica del Pci contro Alcide De Gasperi e il suo governo dal 1947 in avanti.
I comunisti la utilizzarono a piene mani. “Tutti uniti contro i servi di Truman!” recitava un manifesto del Pci dove un burattinaio americano tirava i fili di burattini con i nomi di De Gasperi, Scelba, Einaudi e Sforza. Questo attacco andò di pari passo con l’accusa alla DC - serva degli americani - e agli Stati Uniti di essere una minaccia per la democrazia. Non a caso nel 1948 Togliatti (nella foto) pubblicò il pamphlet “Tre minacce alla Democrazia italiana”.
E ancora una volta l’opposizione post-comunista usa lo stesso tema in questi giorni. Infatti la Schlein, intervenendo al Congresso dei Partiti socialisti europei, ha detto: «La democrazia e la libertà di espressione sono a rischio quando l’estrema destra è al governo». Togliatti, su Rinascita, alla vigilia del voto del 18 aprile 1948, scriveva: «Fascismo e guerra, sono i pericoli che oramai in modo imminente incombono sul Paese, che si abbatterebbero su di esso se le forze della democrazia dovessero non avere il sopravvento». Naturalmente se c’era un partito che rappresentava una minaccia per la democrazia, un partito che, nel 1948, aveva un legame di ferro con un regime straniero molto pericoloso, era proprio quel Pci che si identificava con Stalin. Conclusione? Ieri come oggi la sinistra detesta e attacca l’idea di Occidente: l’unità politica, militare e culturale fra Stati Uniti ed Europa.
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