La sinistra non sembra intenzionata a mollare l’artificio retorico di Gaza. Da tempo concetto divenuto un brand utilizzato per entrare a far parte del circolo dei buoni, dei correttamente orientati, degli umani, di quelli che... Trump è un bullo. Ora a Gaza c’è una tregua, primo passo verso – si spera – una pace stabile. Ma Giorgia Meloni non aveva sbagliato quando ha accusato la sinistra di non digerire gli accordi di Sharm el-Sheikh. Che sono risultati spiazzanti per chi intendeva mobilitare le piazze italiane contro il governo esibendo la sofferenza del popolo palestinese. Dalle parti del Pd l’operazione è ormai quasi del tutto archiviata, tanto che hanno ripreso voce e iniziativa i cosiddetti riformisti, ridotti ai margini dalle scapigliate invettive sul “genocidio”.
Ma il brand Gaza resiste, scendendo dal livello politico a quello della politica spettacolo. Selvaggia Lucarelli non ha forse adottato una micina randagia chiamandola Gaza? Il professor Montanari non si presenta in tv mostrando una kefiah adagiata sui libri? Milena Gabanelli non porta una fascetta nera a lutto sul braccio «per lo sterminio di Gaza»? Damiano David non ha ballato con la kefiah durante un concerto? I deputati pentastellati addirittura hanno formato un quadretto umano con i colori della bandiera palestinese ad uso dei fotografi. È questa la nuova moda del palestinismo, l’ultimo delirio ideologico abbracciato dalla sinistra reduce da altri scivoloni. Prima il trend dell’apocalisse climatica, poi l’antifascismo militante di ritorno e oggi il palestinismo.
Su questo fronte è attivissimo Giuseppe Conte, che lunedì sarà con Sigfrido Ranucci alla Camera a presentare il libro di Rula Jebreal dal sobrio titolo “Genocidio”. Ci sarà anche Daniel Levy, annuncia Rula via X, che fa parte del gruppo di personalità ebraiche che chiedono all’Onu di imporre sanzioni a Israele. Insomma sappiamo che la Jebreal è perfettamente inserita nel racconto che mira a limitare le responsabilità di Hamas e a ingigantire le colpe di Netanyahu. È un simbolo vivente del palestinismo che la sinistra in Italia non esita a sfruttare per la solita propaganda antimeloniana, anche se la premier ha già chiarito che con il disarmo totale di Hamas il governo potrà procedere al riconoscimento dello Stato palestinese.
Fateci caso: la bandiera palestinese ha sostituito ogni altro vessillo: l’usurata bandiera arcobaleno della pace e persino la bandiera europea, innalzata contro Trump su iniziativa di Repubblica e Michele Serra. Il 15 marzo, la mobilitazione in Piazza del Popolo, è ormai acqua passata. Oggi sono altre le parole d’ordine, tutte dettate dall’adesione incondizionata al palestinismo. Chi va in piazza nega anche che vi sia una tregua a Gaza. I manifestanti affermano che il genocidio è comunque in corso. Che Israele è guidato da un criminale. Che l’Europa deve sospendere ogni collaborazione con Tel Aviv. Per non dire delle università, dove il palestinismo la fa da padrone e dove i rettori sono ostaggi di minoranze fanatiche che impongono i loro slogan e i loro desiderata. L’obiettivo è unico da Pisa a Trento, da Bologna a Roma: fuori Israele dall’Università.
Un obiettivo che puzza di antisemitismo lontano un miglio. La sinistra tace dinanzi all’odio montante anti-Israele e si tiene stretto il brand Gaza. Coccola le piazze anche violente. Fa sorveglianza sull’antisemitismo solo se si tratta di contestare le parole di Eugenia Roccella (peraltro applaudita dalle comunità ebraiche). È una rivoluzione culturale che non darà frutti duraturi ma che è sotto gli occhi di tutti: dalla vigilanza sull’antisemitismo e il lancio della candidatura Segre al Quirinale (chi si ricorda quando Il Fatto raccoglieva le firme a questo scopo?) al silenzio complice sull’odio anti-Israele, dal siamo tutti antifascisti al siamo tutti antisionisti. A chi gioverà? Sono in tanti a cercare di tirare l’acqua al proprio mulino usando la vulgata palestinista: Pd, Avs, M5S e ora anche Potere al Popolo. Ma non c’è da sgomitare: ci sono kefiah a disposizione per tutti.