La sinistra riparta dalla toponomastica. Visto che in fiera si devono portare solo i libri che piacciono a loro anche per le strade deve valere lo stesso criterio. Via dalle vie e dalle piazze i nomi sgraditi, quelli che non stanno nel pantheon rosso. E figuriamoci i monumenti: per quelli, a Roma, si pensa a una nuova significazione, tramite apposito Qr code, per spiegare quanto quelli del Ventennio siano stati divisivi, discriminatori, violenti.
E non è uno scherzo, perché una apposita ridicola mozione è stata da poco approvata in Campidoglio, su suggestione di esponenti di Avs. Bei tempi quando alla Cultura nella Capitale c’era Gianni Borgna che voleva intitolare una strada a Bottai. All’epoca, in un sornione rimescolamento di carte, era Alessandra Mussolini a opporsi a quella targa: perché Bottai era uno di quelli – disse - che il 25 luglio aveva votato contro il Duce.
Ma lasciamo andare le cose passate, era il 1995. Anche se, trent’anni dopo, a toccare certi tasti, certe figure, il dibattito subito si infiamma. E la toponomastica, i monumenti, le fontane, le statue, sono le prime vittime delle guerricciole ideologiche. Così se Sgarbi intitola una via a Julius Evola (a Sutri) ecco che il Comune di Roma in mano al Pd vuole cancellare le tracce di colonialismo dal quartiere Africano.
PROPAGANDA
Sul fascismo viviamo un eterno presente di agitazione propagandistica. Meno male che poi arrivano gli storici a rimettere a posto i pezzi. Così ha fatto Ernesto Galli della Loggia in un bel libro che tutti gli amministratori capitolini, di destra e sinistra, dovrebbero leggere. Si intitola Una Capitale per l’Italia. Per un racconto della Roma fascista (meno male che non c’è il rischio che lo legga ZeroCalcare che altrimenti potrebbe chiederne l’espulsione da ogni festival editoriale sull’intero terreno nazionale...).
Galli della Loggia spiega infatti nel testo che fu solo col fascismo che Roma divenne davvero Capitale mentre ciò non era accaduto dopo il 1870. Un’operazione che fu culturale, urbanistica, politica e architettonica.
Mussolini intese liberare (così scriveva al governatore Cremonesi) gli antichi monumenti romani e le chiese cristiane dalle abitazioni «parassitarie» che vi erano cresciute attorno. «I monumenti millenari della nostra storia devono giganteggiare nella necessaria solitudine». Fu la politica degli sventramenti che tante condanne ha attirato nel dopoguerra ma, ricorda Galli della Loggia, anche i piani regolatori del 1883 e del 1909 avevano previsto di fare pulizia nel centro storico demolendo baracche, stalle, soffitte, capanne.
IMPONENZA
Ciò che il fascismo volle edificare fu fatto nel segno dell’imponenza e della maestosità. Il Foro Italico, l’Eur, via dei Fori Imperiali, la via del Mare. La Repubblica che venne dopo, avverte lo storico, si tenne alla larga da rivoluzione estetiche, un po’ perché aveva altro a cui pensare un po’ perché temeva di sfigurare. Di «non reggere il confronto», Galli scrive proprio così.
Col fascismo Roma diventa una città moderna. L’espansione edilizia comporta la nascita e la crescita di quartieri borghesi destinati a un pubblico impiegatizio: Appio Latino, Trieste, Italia, piazza Bologna. Accanto a essi i quartieri per i ceti più abbienti: Ludovisi, Parioli, Prati, l’Aventino. E ancora le nuove quattro sedi degli uffici postali di ispirazione razionalista.
Lo storico a questo punto si pone il problema: stiamo forse dicendo che il fascismo ha fatto anche cose buone? Sì, lo sta dicendo e chi lo nega – avverte – è solo un estremista che viene smentito dalla realtà. Un monito che vale per chi ancora vuole esorcizzare i monumenti “fascisti”. O almeno normalizzarli, rileggerli in chiave woke. La rimozione è l’obiettivo, perché in una città come Roma dove ti giri ti giri un certo stile figurale ti riporta proprio là, al bieco Ventennio. Hanno pure pensato di venderselo il Foro Italico per liberarsi di certe ossessioni. Laddove sarebbe molto meglio fare pace con i ricordi, con il passato, con la storia.