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Meloni, "censurano i libri e poi...": niente sconti a sinistra e magistrati

di Fausto Carioti giovedì 18 dicembre 2025

4' di lettura

Tutte le istituzioni italiane dovrebbero difendere la repubblica «dai rischi derivanti dalle predicazioni violente di autoproclamati imam che, come nel caso di Shahin, fanno addirittura apologia dei pogrom del 7 ottobre». Invece certi giudici li liberano, impedendo al governo di rimpatriarli. Succede perché c’è «una certa magistratura politicizzata» che emette «pronunce ideologiche», anche «ostacolando l’azione di contrasto all’immigrazione illegale di massa».

Giorgia Meloni è alla Camera per il dibattito in vista del Consiglio europeo, che inizia oggi. A Bruxelles lei e gli altri leader parleranno di sostegno all’Ucraina, bilancio della Ue, allargamento dell’Unione, Medio Oriente, immigrazione e competitività. Tutti temi su cui lei entra nel dettaglio. Ma è quando parla di questioni interne che la temperatura nell’emiciclo si alza.

I cori di giubilo con cui Pd, Avs, M5S e Cgil hanno accolto la liberazione dell’imam di Torino sono finiti sul taccuino della premier, che se c’è da toccare i nervi scoperti degli avversari non si tira indietro. Parla da dieci minuti quando esprime «il cordoglio del governo per il brutale attacco antisemita a Sydney, la nostra vicinanza al popolo australiano e alla comunità ebraica». È il primo e ultimo momento “bipartisan” della seduta: le opposizioni si uniscono alla solidarietà alle vittime, tutti i deputati si alzano in piedi per applaudire.

Dura poco, perché il capo del governo provvede subito a elencare le responsabilità dei suoi avversari. Denuncia «distinguo e reticenze», rimarca che «da lungo tempo si assiste a un’inaccettabile sottovalutazione dell’antisemitismo di stampo islamista e di quello connesso alla volontà di cancellazione dello Stato di Israele». Si rivolge a chi «vergognosamente» accusa il governo di essere «complice in genocidio» a Gaza, e chiede se anche il presidente dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, debba essere considerato complice, «viste la considerazione e l’amicizia che continua a dimostrare nei confronti di questo governo».

Denuncia la «sfacciata ipocrisia» della sinistra, che «riesce, nelle stesse ore, a chiedere la censura delle case editrici di libri non graditi e a invocare la libertà di espressione a difesa di chi inneggia ai terroristi di Hamas e alla strage del 7 ottobre». E spiega che la normativa italiana per l’uso dei centri in Albania è stata «disapplicata» dai magistrati, «interpretando in modo forzato la normativa europea», ma il problema sta per essere risolto intervenendo direttamente sulle norme Ue. Presto ci saranno una lista europea dei Paesi di origine sicuri e un nuovo regolamento per i rimpatri: così «il modello Albania, a cui molti altri Paesi europei guardano con grande interesse, funzionerà. Piaccia o no alla sinistra». Sinistra italiana, s’intende. Perché quella europea mica sempre la pensa come il Pd.

Infatti Meloni cita «il primo ministro socialista Mette Frederiksen», danese, assieme alla quale ha promosso un’iniziativa per «un’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo più efficace e più in linea con il contesto attuale». In sostanza, meno compiacente verso gli immigrati irregolari.

Anche sulla Ue disegnata dai progressisti Meloni picchia duro. E pure qui rivendica il ruolo di apripista: «Gli sforzi profusi dal nostro governo negli ultimi mesi hanno portato ad aprire una breccia nel muro del dogmatismo green». Lo dimostrano «il superamento del “tutto elettrico” per auto e furgoni al 2035, l’affermazione del principio di neutralità tecnologica» e le altre posizioni, un tempo eretiche, che guadagnano consenso a Bruxelles, grazie alla collaborazione tra Italia, Germania e altri Paesi.

Quanto all’Ucraina, ribadisce che non intende inviarvi soldati italiani. La Ue ora è chiamata ad aiutare finanziariamente Kiev, per «evitare un collasso che rappresenterebbe un grave danno per tutti noi». Trovare una soluzione «sostenibile», ammette però la premier, «sarà tutt’altro che semplice», e ogni decisione sull’uso dei beni russi congelati in Europa dovrà essere presa «al livello dei leader». Prudenza, insomma. Perché è giusto che il Paese aggressore paghi, ma «se la base giuridica di questa iniziativa non fosse solida», spiega replicando al Pd, «noi regaleremmo alla Russia la prima vittoria vera dall’inizio del conflitto».

Cautela anche sull’accordo tra Ue e Mercosur, l’unione commerciale dei Paesi dell’America Latina. Firmarlo nei prossimi giorni, avvisa Meloni, sarebbe «prematuro». Prima bisogna vedere il testo finale del pacchetto di garanzie per gli agricoltori e discuterne con le loro organizzazioni.

Sempre parlando di cibo, chiede alla sinistra di ripensare la retorica del «frigo vuoto»: «Mi sembra un po’ irresponsabile raccontare l’Italia come se fosse un Paese che ha masse di persone denutrite per mancanza di derrate alimentari...». Finisce come si sapeva, prima a Montecitorio e poi a palazzo Madama: via libera all’unica risoluzione di maggioranza, bocciate quelle dei partiti d’opposizione: sei alla Camera, cinque al Senato. Se governasse la sinistra, aveva infierito poco prima Meloni, «mi preoccuperebbe mandare a Bruxelles un presidente del consiglio che in parlamento ha cinque risoluzioni e non sa qual è la posizione che deve prendere...».

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