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Biosimilari: le prospettive d’azione nella sanità italiana

Consumi in crescita nel 2018, ma permane una disomogeneità tra le Regioni nell’utilizzo dei biosimilari, mentre le potenzialità del settore possono essere condizionate da fenomeni distorsivi delle modalità di acquisto delle Regioni
di Maria Rita Montebelli domenica 2 giugno 2019

4' di lettura

Le prospettive e le opportunità che possono giocare i farmaci biosimilari a favore dello stato di salute della sanità italiana: questo il tema al centro del convegno promosso dalla rivista di economia e politica sanitaria Italian Health Policy Brief (Ihpb), tenutosi a Roma presso l’Auditorium del ministero della Salute. Nel 2018 questi prodotti hanno coperto circa il 17 per cento dei consumi nazionali di farmaci biologici, con una crescita di circa il 13 per cento rispetto all’anno precedente. Una tendenza che, secondo un’elaborazione del Centro Studi Italian Biosimilars Group su dati Iqvia, fa prevedere per il quinquennio 2017-2022 una riduzione della spesa farmaceutica in questo settore, che potrebbe avvicinarsi al mezzo miliardo di euro, con importanti e positive ricadute sul fronte della sostenibilità della spesa sanitaria e del reimpiego delle risorse nell’innovazione. La tendenza all’espansione del mercato dei biosimilari fa ben sperare circa il positivo ruolo di calmieratore della spesa che questi prodotti possono avere con la conseguente emersione di nuove risorse economiche da riorientare verso l’innovazione nel campo dei farmaci biologici. “Sicuramente i biosimilari rappresentano un’opportunità di cura per molte patologie, garantendo anche risparmi per il servizio sanitario – ha sottolineato Maria Teresa Bressi del coordinamento Nazionale Associazioni Malati Cronici – Sono risparmi che, a nostro parere, andrebbero reinvestiti nell’accesso per tutti i cittadini, anche per le terapie più innovative; un aspetto, questo, che da anni sta mostrando sempre più crepe”. Va detto, però, che le difformità tra le diverse Regioni in materia di biosimilari sono ancora significative: nel solo 2018, ad esempio, si è registrato un utilizzo di questi farmaci del 50,21 per cento in Piemonte e Valle d’Aosta, del 23,13 in Toscana, del 21,58 in Emilia Romagna, mentre nel Lazio ci si è fermati al 10,27 per cento, in Puglia al 6,9 e in Umbria poco oltre il 5 per cento. “La penetrazione dei biosimilari è ancora differenziata nelle diverse realtà regionali e locali per ragioni primariamente culturali – ha dichiarato, commentando questi dati, Simona Creazzola, presidente della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera – Sarebbe infatti utile e necessario produrre con maggior efficacia e continuità un’informazione scientificamente qualificata, diversamente approfondita, e ben veicolata, affinché venga correttamente decodificata dai diversi stakeholder. Inoltre – ha proseguito – è necessario che si sviluppi maggiormente e si affermi un senso di responsabilità comune (operatori sanitari, cittadini, aziende) nei confronti dell’utilizzo ottimizzato e trasparente di risorse in ambito sanitario”. Nel workshop di Roma si è rilevato che i contenimenti di spesa realizzati fino ad oggi sono ancora modesti rispetto a quelli che saranno possibili con la prossima e sempre più consistente disponibilità dei biosimilari di nuova generazione. Questi offriranno determinanti opportunità terapeutiche, soprattutto nell’ambito delle malattie oncologiche e su base autoimmune, come in dermatologia, reumatologia e gastroenterologia. A fronte di uno scenario potenzialmente positivo, in Italia si profila all’orizzonte un ostacolo che potrebbe compromettere seriamente questo percorso e che riguarda le modalità di approvvigionamento dei biosimilari da parte delle diverse Regioni. Nelle gare di acquisto, infatti, oggi domina essenzialmente l’aspetto economico che determina l’acquisizione del solo biosimilare dal costo più basso, compromettendo così la disponibilità di più molecole. Da qui possibili ricadute negative anche sul piano della continuità e dell’appropriatezza terapeutica. Si pone quindi con urgenza la necessità di affinare e rendere più omogenei gli strumenti di approvvigionamento delle Regioni, così da assicurare il permanere di una positiva competizione da parte del mondo dell’industria che deve trovare nella continuità del mercato le ragioni per continuare il proprio impegno. Analizzando questo aspetto in una logica di economia sanitaria, Fabio Pammolli, ordinario di Economia e Management presso il Politecnico di Milano e Presidente del Cerm, ha sottolineato che “una pluralità di scelta consente non solo il contenimento della spesa, ma anche il mantenimento della libertà prescrittiva del medico e la preferenza del paziente. Nel nostro caso – ha proseguito l’economista – le durate delle gare più lunghe e ben definite garantiscono un’adozione maggiore, una garanzia di continuità al paziente e una miglior pianificazione per le imprese”. “L’industria vuole essere partner costruttivo della sanità pubblica sia sul fronte dell’innovazione sia su quello della sostenibilità di sistema – ha commentato Maria Luce Vegna, executive medical director di Amgen Italia – guardiamo quindi con interesse a tutte le forme di collaborazione tra i diversi attori del sistema che siano in grado di produrre ricadute positive ed equilibrate sull’offerta di salute in Italia. Contemporaneamente, abbiamo la necessità che siano tenute in considerazione anche le legittime esigenze di programmazione del nostro settore”. L’importanza della penetrazione dei biosimilari è condivisa da tutti gli attori, sia in termini di contributo alla sostenibilità di sistema e di sostegno all’innovazione, che in termini di equità di accesso alle cure su tutto il territorio regionale, ma occorre che l'omogeneità della loro diffusione vada di pari passo con una corretta cultura della cura, in cui il ‘valore economico’ non sia l’unico punto di riferimento per le scelte sul territorio. (ANNA CAPASSO)

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