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Coronavirus, imbarazzo italiano: la precaria che lo ha isolato guadagna 1.500 euro al mese da sei anni

di Davide Locano domenica 9 febbraio 2020

3' di lettura

Da certi amici vi guardi Iddio, ma se lo fate pure voi è meglio. Consiglio non richiesto a Francesca Colavita, trentunenne ricercatrice precaria da 1.500 euro al mese, alla sua collega Concetta Castilletti, che precaria lo è stata sino all' età di 45 anni, e alla loro superiore Maria Rosaria Capobianchi, direttrice del laboratorio dello Spallanzani dove i cococo mettono in gabbia i virus e ci salvano la pelle: non abboccate. Ministri, parlamentari e capi di partito che adesso vi sorridono, dicono che la ricerca scientifica è la cosa più importante, vi promettono stipendi migliori e fondi più consistenti, vi stanno solo prendendo in giro. Leggi anche: Coronavirus, scintille tra Travaglio e Burioni Loro sono il virus, non sono la cura. State al gioco e usateli per avere quel poco che riuscirete ad ottenere, così come loro sfruttano voi e il vostro lavoro sottopagato per splendere di luce riflessa. Prendeteli però per quello che sono: mentitori seriali. Passato il momento, torneranno sordi come prima. È colpa loro se nello Spallanzani di Roma e negli altri cinquanta Irccs, gli istituti di ricovero e ricerca d' eccellenza finanziati con soldi pubblici, ci sono 2.500 precari come la dottoressa Colavita. Sino ad oggi tanti sono stati messi a contratto come collaboratori coordinati e continuativi, la cui posizione veniva ridiscussa di anno in anno, ma se ne sono visti remunerati pure come borsisti o liberi professionisti, sempre con assegni ridotti all' osso. PROGETTI SPECIALI Dall' Arsi, l' Associazione dei ricercatori della sanità, raccontano che i fondi ministeriali sinora hanno garantito uno stipendio massimo attorno ai 1.500 euro netti per dodici mensilità, ma i singoli istituti avevano molta libertà e si sono viste buste paga ben inferiori. La figura del ricercatore sanitario, del resto, non era nemmeno prevista dalla legge. A questi va aggiunta una quota dei circa 13mila titolari di assegni di ricerca sparsi nelle facoltà universitarie, sempre più numerosi e di età media ogni anno più alta. Nati per lavorare su progetti specifici, sono diventati tutt' altro. La Relazione sulla ricerca pubblicata dal Cnr denuncia che «la mancanza di programmazione ha generato una trasformazione quasi ontologica della figura dell' assegnista, alterando uno status lavorativo transitorio in uno strumento di precariato cronico». È la fotografia di un fallimento ai danni dei migliori cervelli italiani e dell' intero Paese, che prima spende per la loro istruzione e poi non è capace di metterli a frutto. Che si tratti di Irccs, facoltà di medicina o istituti zooprofilattici sperimentali (Izs), la via di fuga preferita dai precari della ricerca è la stessa: un posto di lavoro (stabile e ben ricompensato) all' estero, scelto dal 19% di loro. Altri restano in Italia, ma cambiano mestiere. Mente chi dice che il problema di chi fa ricerca negli Irccs e negli Izs è stato risolto con la riforma che sta per entrare in vigore. Certo, finalmente nasce la figura del ricercatore sanitario, che sarà affiancato dal collaboratore di ricerca. Ma non c' è alcuna stabilizzazione, rimarranno precari e sottopagati. Coloro che si trovano nella condizione migliore potranno ottenere un impiego di cinque anni rinnovabile per altri cinque. Come spiega il ricercatore Leonardo Caporali, presidente dell' Arsi, «non può esserci assunzione, perché nel sistema sanitario manca tuttora il ruolo del ricercatore a tempo indeterminato». Cosa aspettano a introdurlo? Quanto ai soldi, si partirà da uno stipendio base di 1.300-1.400 euro per il ricercatore sanitario e di 1.200-1.300 euro per il collaboratore di ricerca. QUESTIONE DI PRIORITA' Non è vero che mancano i fondi per trattare questi scienziati in modo migliore. E non è scritto da nessuna parte che l' Italia debba continuare ad investire nel settore della ricerca, in percentuale sul Pil, un terzo in meno della media Ue e meno della metà di quanto faccia la Germania. È una questione di priorità ed è per questo che il problema passa per il governo e i partiti della maggioranza: perché il denaro, quando vogliono, riescono a trovarlo, anche a costo di aggravare il debito pubblico. Nel 2020 il reddito che finanzia la nullafacenza e premia evasori fiscali e mafiosi costerà agli italiani 7,1 miliardi di euro. Ne sarebbe bastata una fetta minima per portare a livelli di decenza gli stipendi dei nostri ricercatori, stabilizzarli sul serio e impedire che portino i loro talenti all' estero. Si chiama "premiare il merito" ed è quello che a parole sostengono tutti, ma non fa nessuno. di Fausto Carioti

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