F orse non è a tutti noto che a deviare il corso della Storia sono stati, più di quanto non si immagini, eventi atmosferici i più diversi. Nebbia, pioggia, vento, gelo e siccità, agendo come “regista invisibile” dei grandi avvenimenti, hanno avuto un impatto sul cammino dell’uomo cui si stenta a credere. Ne parla con dovizia di particolari e grande conoscenza della materia il fisico dell’atmosfera e climatologo Vincenzo Levizzani nel suo Storia del mondo in 10 tempeste (Il Saggiatore, 224 pagine, 24 euro). Basculando tra leggende, mito, religione e realtà, Levizzani racconta di come e qualmente il clima abbia cambiato le sorti dell’homo sapiens più di quanto non abbiano fatto re, generali e rivoluzioni.
Le alluvioni, per cominciare. Circa 5000 anni fa nella Valle dell’Indo, nell’attuale Pakistan, era in piena fioritura la civiltà di Harappa, uno straordinario mosaico di città ordinate, strade ampie, un’efficiente rete fognaria, case in mattoni, tubature dell’acqua e sale da bagno. Il sistema di scrittura elaborato dai suoi abitanti contava 400 caratteri e alcuni ricercatori lo ritengono la madre degli alfabeti indoeuropei.
Ebbene, trattandosi del subcontinente indiano, l’economia degli Indo-Vallindiani era fondata su un’agricoltura alimentata da piogge monsoniche. L’equilibrio si resse fino a che le piogge vennero giù entro limiti accettabili. Quando, circa 4000 anni fa, esse crebbero d’intensità, causando micidiali inondazioni, la popolazione di Harappa si vide costretta ad abbandonare questo luogo idilliaco.
I VULCANI E IL FREDDO
Una notevole sterzata al volto dei tempi la diedero anche le eruzioni vulcaniche. La prima di cui si ha memoria storica è quella avvenuta nell’isola greca di Santorini nel Mar Egeo, nella metà del secondo millennio a.C. L’esplosione del vulcano provocò lo sprofondamento di una parte dell’isola e la formazione di una vasta depressione presto invasa dal mare. È assai probabile che questo fenomeno e i maremoti ad esso collegati abbiano accelerato la decadenza della civiltà minoica, sulla vicina isola di Creta.
E che dire della cosiddetta “Transizione Tardoromana”, dal 150 al 450 d.C. Il combinato disposto della diminuzione progressiva delle temperature e la siccità influirono sui raccolti agricoli, provocando carestie e conseguente mancanza di cibo per la popolazione. Virus e batteri sconosciuti fino a quel periodo furono favoriti nella loro libera circolazione dando origine a pestilenze ed epidemie che contribuirono (nona determinarlo, con buona pace del geologo Mario Tozzi) al lento declino dell’Impero Romano. Ed eccoci alla Piccola Era Glaciale, durata all’incirca dal XVI al XIV secolo. La crisi determinata da un calo drastico delle temperature, fu all’origine (in termini di siccità, morìa del bestiame, diffusione delle malattie epidemiche e conseguenti difficoltà economiche) del crescere di un’instabilità sociale e politica che culminò in Europa con eventi drammatici come la guerra dei Trent’anni (1618 1648). Spesso, il tempaccio prolungato ha clamorosamente smentito le teorie contenute in alcuni dei manuali militari più noti e venerati: penso all’Arte della guerra di Sun Tzu e al trattato Della guerra di Carl von Clausewitz. Nella celeberrima battaglia navale di Salamina combattuta tra una coalizione di città-stato greche e l’impero persiano nel 480 a.C., non fu la maggiore perizia dei propri marinai a consegnare la vittoria agli ellenici ma le micidiali folate di vento che all’improvviso cominciarono a sferzare i natanti penalizzando quelli persiani, meno adatti a combattere in quelle condizioni atmosferiche.
SBARCO IN NORMANDIA
E veniamo ad Annibale, l’incubo dei romani antichi. La storia più o meno la conosciamo, il Barca valica le Alpi (senza neve, di nuovo il fattore meteorologico che mischia le carte della storia), sconfina nella pianura padana e dà battaglia ai quiriti in campo aperto. Accade in Umbria, nel giugno del 217 a.C. Annibale schiera i suoi uomini sulle sponde del lago Trasimeno. Il console Gaio Flaminio gli va incontro e si prepara a combattere. Attenzione, però. Il lago è da ore avvolto da una fitta nebbia. Fenomeno di cui Annibale approfitta. Comanda, infatti, alla cavalleria di attaccare le file romane sbucando all’improvviso dalla bruma. I cartaginesi seminano caos e panico tra i legionari colti di sorpresa dall’attacco del tutto inaspettato. L’esercito romano è in trappola. Il lago a sud impedisce la fuga e i fanti di Annibale attaccano da ogni dove. Gaio Flaminio non riesce a organizzare le sue truppe e viene lui stesso ucciso e decapitato. Furono gli acquazzoni continui e intensi caduti per ore sul campo di battaglia a Waterloo (18 giugno 1815) a spezzare definitivamente i sogni di gloria e di revanche di Napoleone Bonaparte. Accadde infatti che il terreno intriso d’acqua impedisse l’efficacia dei colpi sparati dall’artiglieria francese. Sprofondando nel fango essi non riuscivano a rimbalzare e dunque a falciare le truppe avversarie. E chi fu a impedire a Napoleone prima e a Hitler dopo l’invasione della Russia? Il “generale inverno”, naturalmente. E finiamo con lo sbarco in Normandia. L’operazione Overlord sarebbe dovuta avvenire il 5 giugno 1944 invece del 6, data in cui effettivamente si verificò. Il giorno ideale per lo sbarco avrebbe dovuto essere caratterizzato da luna piena, basse maree, cieli liberi, venti leggeri e mare non troppo mosso. Due periodi di questo tipo corrispondevano a questo scenario, ma solo uno poteva contare sull’appoggio di una luna piena, il lasso di tempo tra il 5 eil 7giugno 1944.