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Risotto con l'ossobuco, dentro al piatto la mia Milano che non c'è più

Il piatto è un sunto dell'anima meneghina, almeno quella delle origini: contrasti, attenzione, spigolature, concretezza e sacrificio. Ma quella città è sparita da tempo...
di Andrea Tempestini venerdì 10 ottobre 2025

2' di lettura

Il risotto con l’ossobuco è il mio meglio in cucina. Piatto forte, suvvia, pur essendo l’espressione poverella. Inevitabile che nel rivendicarlo ci sia un tratto identitario (io milanese), una proiezione (desiderarlo poiché sono milanese) e un pizzico di sacrosanta verità. La pietanza è un sunto dell’anima meneghina, quella delle origini: contrasti, eleganza, attenzione, spigolature (il midollo non piace a tutti, poveri voi), concretezza (piatto unico se ce n’è uno), sacrificio (richiede tempo). La lunghezza della preparazione - più pazienza che tecnica - spalanca un’amabile finestra etilica, un buon rosso per nobilitare l’attesa, aspetto laterale degno di giubilo. La milanesità della ricetta emerge anche dalla sua fermezza: l’unica variazione accreditata è l’acciuga nella gremolada, per me architrave del manicaretto.

La ricetta. Un robusto ossobuco di vitello, spesso 4-5 centimetri, tagliato al centro del girello affinché ogni fetta racchiuda più midollo possibile. Per 4 ossibuchi 70 grammi di burro, 2 cipolle novelle, farina, un vino bianco secco di qualità, brodo di manzo, vitello e ossa. Incidere il nervo dell’ossobuco per scongiurare l’orrido arricciarsi in cottura. Appassire lentamente nel burro le cipolle finemente tritate, toglierle dal tegame con un cucchiaio forato che rilasci il burroso intingolo. Adagiare sul fondo di cottura gli ossibuchi infarinati, colorirli su lati e perimetro a fiamma viva. Riportare la cipolla in padella, innaffiare con vino in abbondanza e fiamma bassa fino al suo evaporare. Ora la prima mestolata di brodo; aggiustare con sale e pepe. Coprire e incedere a fuoco lento, premurandosi di girare di tanto in tanto la carne. Costanti mestolate di brodo bollente per mantenere il tutto liquido, avanti per 90 minuti (o più). La carne è cotta alla perfezione quando inizia ad affrancarsi dall’osso.

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Nel frattempo la gremolada: tritare uno spicchio d’aglio, un ciuffone di prezzemolo, l’intera scorza di un limone, tre acciughe. Ultimata la cottura dell’ossobuco (il tutto sia sempre ben liquido) spegnere il fuoco, aggiungere la gremolada (conservandone una parte), amalgamare col sugo e versare generose cucchiate dell’intingolo sulla carne.

Il riso: un Carnaroli; il brodo usato per l’ossobuco; soffritto di burro, midollo e cipolla tritata; tostare il chicco; sfumare con vino bianco; zafferano al finir della cottura (al dente!); mantecare con burro e parmigiano (senza esagerare, cremoso ma non troppo). Impiattare usando il riso come base per l’ossobuco, un’ultima spolverata di gremolada (non azzardatevi a chiamarla gremolata). Servire la simbolica magnificenza di una Milano che, maledizione, non esiste più.

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