Esiste un misterioso universo di paure che governa le nostre vite. Chiusi nelle nostre case, dobbiamo spesso fare i conti con angosce e timori, spesso invalidanti, che modificano il nostro umore provocando sintomi psicologici e fisici: vertigini, sudorazione eccessiva, giramenti di testa, mal di pancia, tachicardia. Sono molteplici i segnali che indicano un disagio profondo. Alcune paure sono comuni, come quella dei ragni o dell’altezza, ma altre sono così bizzarre da sembrare finte. Prima tra tutte, la papafobia, che porta chi ne soffre a temere qualunque oggetto o situazione con connotazioni papali. Per quanto strana possa sembrare, questa fobia esiste (sebbene sia rarissima) e chi ne è affetto manifesta «i classici sintomi che ogni fobia è in grado di scatenare», spiega a Libero il dottor Davide Pelosio, psicologo e psicoterapeuta.
Già, per quanto possa fare sorridere, la papafobia può tradursi in «sudorazione, difficoltà respiratorie, vertigini e nausea». A scatenarla possono essere diversi fattori, ma come sottolinea l’esperto, l’origine del problema non è necessariamente riconducibile a un trauma legato alla figura del Papa: «Talvolta è necessario comprendere la simbologia che si cela dietro a una paura. Che cosa rappresenta quella figura? Nel caso del Papa, potrebbe ricondursi al concetto di fede, disciplina, al rapporto che abbiamo con la spiritualità». Secondo la prospettiva psicodinamica, ad esempio, le fobie comunicano proprio attraverso simboli, «nel senso che l’oggetto di cui si ha paura sarà un simbolo del vero problema irrisolto che affligge l’individuo. Avviene, quindi, un processo di rimozione di contenuti traumatici e di conflitti psicologici insoluti che vengono poi spostati su oggetti o situazioni specifiche. In questo modo attraverso l’evitamento dell’oggetto si penserà di stare al sicuro e lontano dal problema».
Tra le fobie più strane troviamo la talassofobia, ossia la paura incontrollabile delle acque profonde; l’efebifobia, ovvero la paura degli adolescenti; e l’alectorofobia, che indica il terrore irrazionale nei confronti di polli e galline. C’è poi la geniofobia, che colpisce chi prova paura nei confronti dei menti, in particolare quelli più pronunciati o particolari. Alcune persone soffrono di globofobia, la paura dei palloncini, spesso legata al timore che scoppino improvvisamente. Una fobia piuttosto singolare è la fobofobia, ovvero la paura stessa delle fobie: un circolo vizioso in cui la persona teme l’insorgere di nuove paure. Infine, esiste anche la vestifobia, ovvero la paura incontrollata dei vestiti. In genere, non riguarda tutto il vestiario, ma categorie specifiche di indumenti – come i vestiti attillati, oppure, come nel caso di un ex militare citato in uno studio, l’uniforme. Le fobie possono originarsi come conseguenze di un evento traumatico, il quale può essere vissuto sia direttamente che indirettamente, «oppure attraverso un apprendimento vicario» ossia un apprendimento che avviene attraverso l’osservazione del comportamento altrui. Inoltre sono da tenere in considerazione anche gli aspetti legati «alla personalità e i fattori genetici e ambientali». Secondo la prospettiva cognitivo-comportamentale, le fobie si sviluppano attraverso «l’apprendimento di associazioni negative con stimoli specifici, a prescindere se l’esperienza è diretta o meno». Inoltre ci sono alcuni fattori come le «valutazioni distorte, l’evitamento e l’attenzione selettiva ai segnali di pericolo che contribuiscono al mantenimento della fobia», sottolinea lo psicologo per cui bisogna tener conto che l’evento traumatico è un’esperienza intensa e improvvisa «che causa un forte impatto al quale la persona non riesce sempre a farvi fronte». «L’impatto - aggiunge - non è solo il rumore della collisione tra due auto oppure il dolore atroce di un morso del cane.
Questi sono esempi esterni, tangibili, visibili. Ricordiamo però che ci sono esperienze traumatiche che raccontano di un impatto che avviene all’interno dell’individuo, in una relazione o in famiglia, e inizialmente sembra che non si veda o non si senta, ma fa male, fa lo stesso rumore ed è lo stesso doloroso». Secondo la prospettiva sistemico-relazionale, invece, la fobia ha origine perché ha una funzione ben precisa all’interno del sistema relazionale o familiare, «ovvero quello di mantenere un determinato equilibrio». In questi casi infatti la fobia diventa un modo per «incanalare su un singolo individuo un problema che appartiene ad un sistema più ampio. Ad esempio una bambina incomincia ad avere una fobia specifica per evitare un cambiamento o un’eventuale separazione da parte dei genitori», rileva il dottore. Le tecniche per trattare la fobia cambiano in base al soggetto e alla tipologia di approccio che si intende adottare. Secondo l’approccio cognitivo-comportamentale si usano tecniche che si basano sulla modifica attiva del comportamento della persona. Ad esempio, «attraverso la cosiddetta esposizione graduale allo stimolo la persona può imparare a conoscere il proprio oggetto fobico fino ad arrivare ad imparare a gestire ansia ed emozioni correlati ad esso».
L’esposizione può avvenire anche attraverso l’utilizzo di simulatori virtuali che vanno a riprodurre la situazione temuta. Altri trattamenti che vengono utilizzati «sono l’EMDR (attraverso movimenti oculari o stimolazioni bilaterali mentre si richiama alla mente il trauma), la mindfulness e in generale le tecniche di rilassamento». Secondo l’approccio psicodinamico, invece, si lavora sulle origini inconsce della fobia e «si riportano alla luce e vengono esplorati i conflitti e i significati simbolici dell’oggetto fobico». E come diceva il filosofo Nietzsche, «il pauroso non sa che cosa significa essere soli: dietro alla sua poltrona c’è sempre un nemico».