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Fabio Fazio, perché in Rai è stato un fallimento. Parla l'ex direttore Leone: "Poteva solo finire ko"

di Maria Pezzi domenica 18 agosto 2019

4' di lettura

Per 33 anni è stato un uomo Rai, azienda che ha lasciato nel 2016 dopo aver ricoperto pressoché tutti i più importanti ruoli dirigenziali. Oggi, già presidente dell' APA-Associazione Produttori Audiovisivi, Giancarlo Leone è entrato nel Consiglio Superiore del Cinema e dell' Audiovisivo, l'organismo che svolge compiti di consulenza e supporto al MiBac. Perché questa nomina è tanto importante? «Perché mi permette di presidiare nell' interesse dell' intero sistema dell' audiovisivo, visto che dal Consiglio passano le principali proposte del Ministero». Il settore audiovisivo sta diventando più forte di quello cinematografico? «Sicuramente ha una maggiore presenza e i maggiori investimenti, più o meno 750-800 milioni del miliardo di euro circa che ogni anno viene investito nella produzione, per un' occupazione di circa 220.000 persone e il coinvolgimento di circa 6000 aziende. Già l' avvento della pay tv aveva dato un grande stimolo al mercato e negli ultimi anni, con la fruizione on demand, sono cambiate le modalità produttive e distributive. Il prodotto televisivo era considerato "minore" dall' intellighenzia, oggi ha la stessa dignità di quello cinematografico, che pure resta centrale». Perché la fiction Rai ha tanto successo? «Perché ha investito sui produttori indipendenti e su progetti di grande qualità, andando incontro alle esigenze internazionali». E perché invece quella Mediaset stenta? «Perché per molti anni non hanno creduto nell' investimento sulla serialità, ritenendo il rapporto costo/ascolto non conveniente. Ma se non produci e non metti in palinsesto un prodotto, abitui il pubblico a non guardarlo. La fiction è il genere più popolare, non c' è broadcaster che possa permettersi il lusso di non averla. Con l' attuale direttore, Daniele Cesarano, la situazione sta però cambiando». L' Agcom ha preso posizione contro gli agenti che sono anche produttori, come Lucio Presta e Beppe Caschetto. Che ne pensa? «Ritengo che ci deve essere una separazione netta delle funzioni, garanzia che tutto proceda senza privilegi da una parte e dall' altra. Gli agenti fanno un mestiere diverso da quello dei produttori e lo fanno in maniera eccellente, ma si altera il sistema se un produttore, rivolgendosi a loro per il cast, dialoga anche con dei concorrenti». Perché ha lasciato la Rai? «Perché a 60 anni avevo raggiunto i risultati più importanti e sentivo di aver dato tutto. Ho avuto le maggiori soddisfazioni come direttore di Rai1, tra le altre cose sono particolarmente orgoglioso dei due show di Benigni e di aver riportato Dario Fo in Rai. E poi, da amministratore delegato di RaiCinema, ho potuto imprimere una ripresa del cinema italiano perché, ampliando il listino con importanti titoli americani, ho ottenuto che in cambio venissero messi nelle sale anche i nostri film di qualità. Non mi interessava il ruolo di dg, tant' è che quando mi fu offerto dal governo, dopo le dimissioni di Campo Dall' Orto, gentilmente declinai. Era giunto il momento di fare altro». Come vede oggi la tv di Stato? «Non ho un' idea ancora chiara di dove stia andando. Avrebbe senso che concentrasse la propria attenzione sulle sue attività "core" perché non si può finanziare tutto: con troppi canali in chiaro, oltre all' offerta digitale di RaiPlay, il rischio è quello di dare un po' a tutti, senza concentrare lo sforzo su alcuni. Però Salini ha un buon progetto sulla riorganizzazione per generi». Non trova la programmazione Rai un po' datata? «No, affatto. C' è ripetizione di programmi e modelli ma anche sperimentazione e innovazione. Un esempio per tutti è il Festival di Sanremo, una gara di canzoni che potrebbe essere banalmente ripetitiva e invece ogni anno è capace di rinnovarsi e rigenerarsi. Ci può stare che il Grande Fratello sia stata l' ultima grande invenzione nell' intrattenimento, ma contrasta con la missione del servizio pubblico, è giusto che questi programmi restino sulle reti commerciali». Per approfondire leggi anche: Fabio Fazio paparazzato senza i  vestiti Reputa giusto il passaggio di Fazio a Rai2? «Dal mio punto di vista l' errore è stato portarlo su Rai1, è stata una scelta incomprensibile. Sarebbe stato meglio se fosse rimasto su Rai3 perché quel tipo di programma si porta dietro quegli ascolti, lui è stato bravo a non snaturarsi ma non poteva fare di più». Come giudica la situazione politica? «Sono politicamente apolide, mi astengo dal rispondere». Eppure lei è figlio di Giovanni Leone, ha respirato la politica fin dalla nascita. «Sì, da 0 a 8 anni ho vissuto a Montecitorio, perché mio padre era Presidente della Camera, e il sabato e la domenica pattinavo nel Transatlantico. E dai 15 ai 22 anni ho vissuto al Quirinale. Ma essere il figlio del Presidente della Repubblica è stato uno sprone a dare sempre il meglio, nello studio e nel lavoro, per dimostrare che quello che facevo non era dovuto al cognome». Ha pensato di seguire le orme paterne? «No, ho conosciuto talmente bene la politica, da starne lontano il più possibile». Si riferisce allo scandalo che ha travolto suo padre? «Sicuramente quella vicenda mi ha aperto gli occhi sul cinismo della politica. Mio padre era una persona onesta, come è poi stato riconosciuto, ma è stato oggetto di una campagna diffamatoria totalmente infondata del gruppo Repubblica-l' Espresso, perché non si capiva quale importante politico fosse stato corrotto dalla Lockheed (industria aerospaziale americana che pagò tangenti per vendere i propri aerei militari, ndr) e la sinistra, che voleva ribaltare il sistema, ha puntato alla carica più alta, il capo dello Stato. Camilla Cederna scrisse un libro con temi del tutto inventati, lei stessa ammise che la sua fonte principale era stata la OP di Mino Pecorelli, notoriamente un' agenzia diffamatoria». La macchina del fango della sinistra non si è mai fermata, pensiamo agli attacchi a Berlusconi. «Non c' è dubbio. La sinistra ha la primogenitura della diffamazione a livello stampa e ha mantenuto nel suo dna queste sue caratteristiche. Ma da quel momento l' attacco ai politici a livello mediatico ha riguardato un po' tutti». di Donatella Aragozzini

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