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Sanremo 2023, ecco come la Rai è riuscita a silenziare Zelensky

di Daniele Dell'Orco martedì 14 febbraio 2023

 Amadeus

3' di lettura

Chissà quanto volontariamente, il fatto che Amadeus dopo settimane di polemiche e dopo il lento e progressivo ridimensionamento del ruolo svolto dal presidente ucraino a Sanremo (prima doveva comparire in collegamento, poi in video registrato, infine in una missiva letta dal conduttore) abbia riservato a Zelensky la serata finale del festival è stato il modo perfetto per bruciarlo definitivamente. Il suo comunicato è stato letto dopo l’una di notte e soprattutto, come da prassi della finale, soverchiato dalle prodezze dei vari protagonisti che proprio perché all’ultima sera fanno la gara a monopolizzare il dibattito nei giorni successivi.

Lo scettro in questo senso se l’è aggiudicato Fedez e il suo show soft-porn con Rosa Chemical, ancora sulla bocca di tutti. Già di per sé, comunque, seppure fosse stato letto in prime-time, un messaggio scritto trasmesso per interposta persona da un conduttore è molto poco incisivo a prescindere dal contenuto.
 

MONDO LIBERO - Tra le altre cose, Zelensky ha “fatto dire”: «L’Ucraina sicuramente vincerà questa guerra. Vincerà insieme al mondo libero. Vincerà grazie alla voce della libertà, della democrazia e, certamente, della cultura. Ringrazio il popolo italiano e i suoi leader che insieme all’Ucraina avvicinate questa vittoria. Auguro successo a tutti i finalisti e dal profondo del mio cuore voglio invitare i vincitori di quest'anno a Kyiv, in Ucraina, nel Giorno della Vittoria. Nel Giorno della nostra Vittoria! Questa Vittoria oggi viene creata e ottenuta in condizioni estremamente difficili. Grazie ai nostri difensori! Grazie a loro coraggio, indomabilità, invincibilità». Probabilmente gli autori del festival hanno ritenuto che il pubblico a casa non avrebbe colto fino in fondo il senso del testo, inserito in una serata di intrattenimento e spensieratezza, anche perché è noto che non tutti gli italiani approvino le ragioni di questa guerra né la necessità del supporto italiano e occidentale.

Di contro, anche la manifestazione anti-Zelensky organizzata fuori dall’Ariston è stata un mezzo flop. Segno evidente che l'opinione pubblica italiana non vuole essere affatto battagliera. Un concetto ribadito in modo molto esplicito da Silvio Berlusconi, che ieri a margine del voto, ha addirittura rimproverato il premier Giorgia Meloni. «Se fossi stato il presidente del Consiglio a parlare con Zelensky non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo Paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili», ha detto. Tanto da costringere Palazzo Chigi a diramare una nota per rbadire «il sostegno saldo e convinto del governo italiano all’Ucraina».

La Rai ha poi lanciato un altro segnale di contenimento, evitanto di sottotitolare l’esibizione della band ucraina Antytila e la canzone Fortezza Bakhmut, il villaggio nel Donbass da mesi nella morsa dei russi. In questo c’è almeno un po’ di coerenza.

PRIMA LINEA - In Italia storicamente all’esercito vengono impedite esternazioni troppo combat nei suoi spot, e per decenni e ancora ogginon è possibile nemmeno parlare della Prima guerra mondiale (vinta) in senso patriottico. La Canzone del Piave non si canta più da una vita e a stento è stata sussurrata in occasione del centenario della vittoria. Il testo di quella canzone, quindi, non fa proprio parte della nostra cultura. E il contesto ancora meno. È stata registrata in prima linea, e mentre gli Antytila cantavano «Lascia che il topo con le spalle al muro salti e il demone insanguinato cadrà in agonia», laddove il topo è ovviamente il soldato russo, nel videoclip c’è un obice occidentale M777 che spara proiettili reali, con i passi del testo scritti sopra, contro obiettivi reali. È la prassi bellica più comune per ogni artigliere: dedicare al nemico messaggi di guerra mentre su di lui piove morte. Insomma, sarebbe stato un inno alla guerra davvero mai visto prima. 

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