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Quanta arte è nata da un amore mercenario

Romanzi, poesie, dipinti: dall’epoca classica a oggi sono moltissime le opere ispirate dalla passione per le prostitute
di Daniele Priori giovedì 31 luglio 2025

5' di lettura

Il soffitto viola dei bordelli, cantato da Gino Paoli come ricordo del suo “amoretto per una puttana” è decisamente più vasto del pur meraviglioso Cielo in una stanza, divenuto lo splendido sottofondo musicale di quella piccola ma immortale storia d’amore mercenario. «Mi ero innamorato, capita...» ha raccontato il cantautore genovese pochi giorni or sono. E ha decisamente ragione perché è davvero capitato a molti, specie tra gli artisti, di essere attratti o comunque voler raccontare, cantare in versi o ritrarre donne costrette per necessità o libera volontà a esercitare quello da più parti definito come “il mestiere più antico del mondo”.

Arte, letteratura, musica e cinema sono, dunque, anche loro, costellate da un tempo pressoché immemore, di storie e protagoniste donne (ma anche uomini) che gli artisti hanno conosciuto in mondi spesso considerati paralleli alla “normale” quotidianità borghese con giovani donne o ragazzi di vita, divenuti oggetto di attenzioni artistiche, se non addirittura di struggimenti sentimentali. Come non pensare, a proposito di infatuazioni, alla delicata e complessa passione raccontata da Dino Buzzati nel suo romanzo Un amore di cui fu tra i primi Indro Montanelli, collega di Buzzati al Corriere della Sera, a raccontare i retroscena della storia molto legata alla vita reale dell’autore.

Buzzati, infatti- secondo Indro - si preoccupava di più dei protagonisti della sua prosa più intima che del suo lavoro giornalistico. Forse, però, anche grazie a questa dedizione è uscita un’opera di un pregio tale da divenire evergreen, sebbene, sempre Montanelli, in un carteggio privato, rimproverò chiaramente all’amico di essersi scoperto troppo. «La mia mortificazione e tristezza non vanno al libro, ma a te, Dino, a te poverissimo diavolo, alla tua miseria senza più neanche il velo del pudore. E il successo sarà proprio questo. E io - scusa - non so rassegnarmi al suo prezzo».

Non ha, invece, avuto esitazioni Margaret Mazzantini all’inizio nel nuovo millennio, nel 2002, a raccontare, nel suo Non ti muovere, la storia di Italia, dolcissima, gattesca prostituta. Il romanzo, vincitore del Premio Strega, divenuto poi anche un film, racconta l’amore drammatico ma salvifico tra il chirurgo di successo Timoteo, colmo di una violenta passionalità repressa e la giovane di borgata, selvaggia come una felina, nelle cui trame cade il medico, in cerca di una evasione nella quale scaricare tutto, anche la sua parte più animale, che però sarà domata proprio dalla scintilla di un sentimento quasi indicibile trai due magnetici protagonisti del racconto.

Come indicibile è il sentimento del 90enne critico musicale protagonista di Memoria delle mie puttane tristi, ultima opera pubblicata in vita dal premio Nobel, Gabriel Garcia Marquez, nel 2004, dieci anni prima della sua morte. L’anziano giornalista protagonista del romanzo decide di regalarsi, per il suo ragguardevole compleanno, «una notte di folle amore con un’adolescente vergine» e in quella scelta vede passare un po’ tutta la sua esistenza nella quale, confessa, di non essere mai andato a letto con una donna senza pagarla. Eppure, proprio in una età così adulta, l’uomo scopre nella contemplazione del corpo della ragazzina per la prima volta, il mistero dell’amore vero. Curiosa è l’ispirazione che il grande Gabo andò a prendere nel lontano Giappone, tra le pagine di un altro premio Nobel, Yasunari Kawabata che nel 1961 aveva pubblicato un romanzo La casa delle belle addormentate, ambientato proprio in uno strano bordello dove agli uomini anziani era consentito di coricarsi vicino ad adolescenti vergini in sonno, senza però poterle toccare.

Qualcosa di profondamente diverso dalla figura di prostituta che ha ispirato letterati dall’epoca classica al Medioevo, quella Taide, marchiata da Dante Alighieri nel canto più rude della sua Commedia, il XVIII, come “puttana” e messa nel girone degli adulatori. Un peccato – la ruffianeria – che il Sommo Poeta disprezzava di gran lunga più della lussuria.

Taide, tuttavia, viene da un mondo ancor più lontano. Parlarono di lei nelle loro opere il commediografo d’epoca classica Terenzio nel suo Eunuchus e poi anche il moraleggiante Cicerone nel De amicitia, sottolineandone proprio i tratti adulatori. Come fece, cento anni prima di Dante, il misterioso novelliere Gualtiero Anglico col suo Liber Aesopi nel racconto Taide e i giovani. Tornando nel Novecento, Taide compare anche, come citazione legata al valore esistenziale della moneta, lo Zahir, oggetto di desiderio, ossessione e ricerca del sé, al quale nel suo Aleph, Jorge Luis Borges collega anche la figura di Taide.

Prostitute che, invece, per gli artisti sono state, nel corso dei secoli, per lo più modelle grazie alla loro bellezza. Donne che non faticavano a svelarsi. Coinvolti nel “giro” i nomi del gotha dell’arte medievale e rinascimentale. A partire dal genio di Leonardo Da Vinci che collaborò assieme al suo allievo prediletto Gian Giacomo Capriotti, detto il Salai, alla trasformazione in dipinto del carboncino leonardesco della Monna Vanna, famosa come la Gioconda Nuda la cui modella (o modello?) si dice potesse essere una prostituta frequentata da allievo e maestro. Come pure, secondo lo scrittore e regista Lasse Braun, la modella della Venere di Urbino di Tiziano non sarebbe in realtà altro che una meretrice abitualmente frequentata dal grande pittore veneto. Un dubbio che sarà sciolto nel ‘700 dal “tributo” impressionista all’opera del Vecellio, l’Olympia con cui Édouard Manet sdogana l’utilizzo della modella prostituta.

Una normalità anche lontana dai connotati erotici, volutamente richiamata da un altro pittore francese, Henri de Toulouse-Lautrec, noto frequentatore dei bordelli francesi ottocenteschi che, tuttavia, volle restituire alle sue beniamine la dignità di una innocente quotidianità, ritraendole in scene non erotiche in quadri come La toilette o Le due amiche. Messaggi chiari rivolti alla borghesia giudicante contro la quale, in Italia, schierarono nettamente le loro opere, sia pure in secoli diversi, altri artisti come Caravaggio e Pier Paolo Pasolini. Col Merisi che, tanto nella Giuditta che decapita Oloferne, quanto nell’opera rifiutata per eccellenza, la Morte della Vergine, utilizzò prostitute come modelle, pagando con una damnatio memoriae rimossa dalla Chiesa soltanto a metà del secolo scorso. Quando finalmente anche l’Italia si accorse della pletora d’arte nata attorno a storie d’amore mercenario che, almeno nei quadri, nei romanzi o nei film neorealisti, come il pasoliniano Mamma Roma, pretendevano a gran voce di essere raccontate in tutta la loro, forse discutibile, ma comunque umanissima realtà.

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