Ma che ci azzecca Mara Maionchi con Hercule Poirot, il celebre investigatore nato dalla fervida fantasia di Agatha Christie? Semplice, ascoltando l’audiolibro Poirot a Styles Court uscito da poco, ci si imbatte nella voce della Maionchi: l’inflessibile giudice di tanti talent show e discografica di successo, interpreta con dizione da attrice vera la protagonista, che verrà poi assassinata.
Mara, ha fatto anche questo: la vittima in un giallo celebre.
«Non vi dovete meravigliare, io sono soprattutto una curiosona e anche una fan della Christie che considero la mamma dei thriller moderni, li ha resi popolari. Per cui ho accettato e mi sono pure divertita».
La curiosità è stata alla base della sua avventura nella musica?
«Di tutta la mia vita. Da ragazza, prima di entrare nello show business, ho fatto l’impiegata in una fabbrica che produceva antiparassiti, poi sono finita in un’azienda di materiale antincendio. Nulla mi annoiava. A metà anni ‘60 ho scoperto la mia vocazione: la musica».
Nel 1968 era a Sanremo con Ornella Vanoni.
«Il primo Festival dopo la tragedia di Tenco: ci arrivai dopo masterclass, avevo già lavorato con Ennio Melis, il mitico boss della Rca, e con lo stesso Mogol. Ero pronta».
E fu così che, tempo dopo, scoprì e lanciò una ragazza senese niente male.
«Quando sentii i provini di Gianna Nannini capii subito che era una potenziale stella. Negli anni ‘70 andavano di moda i cantautori ma io puntai su questa ragazza, nessuno del nostro mondo la fumava. Poi incise America e tutti a ricredersi».
La sente ancora Gianna?
«Certo, siamo rimasti in contatto. Con lei...».
Con Tiziano Ferro, invece no?
«Tiziano è stato il mio secondo fiore all’occhiello, cantava così bene che decisi di puntare grosso anche su di lui. E feci bene. Ora, però, non si fa più vivo e mi dispiace un po’, in tutta sincerità».
Facciamo un giochin. Decennio per decennio, scelga i due simboli musicali, in Italia e in campo internazionale. Partiamo dagli anni ‘60.
«Gino Paoli e i Beatles, impossibile contraddirmi».
Anni ‘70.
«Il mio italiano favorito, e non perché è bolognese come me, è Lucio Dalla, un genio per vocalità e originalità nel suo percorso musicale. Più in generale, Elton John».
Anni ‘80.
«La mia Gianna e la chitarra di Eric Clapton».
Anni ‘90.
«Eros Ramazzotti e, ovviamente, gli U2».
Il nuovo millennio.
«E qui le cose cominciano a farsi difficili. La creatività iniziava già a languire nei primi anni 2000, e con essa le belle canzoni. Quindici metto due draghi veri, due evegreen: Vasco e Bruce Springsteen».
Nella sua voce noto una certa disillusione per il mondo musicale di oggi.
«Sì, e così. Oggi si vive di piccoli successini effimeri che durano alcuni mesi ma non è più stato scritto, e ormai da un quarto di secolo, un brano immortale come sono Sapore di sale, Sally o Caruso. Manca un lavoro accurato attorno a un progetto musicale e a un artista. Si pubblica una canzone, si inventa un personaggio e via. Dopo un anno tutto evapora».
Rap e trap le piacciono?
«No, non li capisco affatto. Colpa mia, probabilmente, appartengo a un’altra generazione. Un mistero, non so neppure se ritenerli brutti».
Si diverte ancora con i talent?
«Molto, il prossimo Italia’s Got Talent sarà super e l’arrivo di Cattelan è un bel colpo».
Lei è diventato un personaggio a X-Factor nel 2008.
«Era la prima edizione e i giudici solo tre: io, Morgan e Simona Ventura. Fiorirono talenti veri come Mengoni e Giusy Ferreri. L’intuizione che ebbe Morgan di esigere brani inediti per i ragazzi in gara, oltre alle solite cover, fu vincente».
Secondo lei come finirà la diatriba fra la Rai e il Comune per Sanremo?
«Il Festival non sulla Rai o fuori da Sanremo lo ritengo impossibile».
Mara, ha rimpianti nella sua carriera?
«Zero. Sono felice e ho sposato Alberto Salerno, l’autore di Io, vagabondo. Cos’altro potrei desiderare nella vita?».
P.S. La grande Mara non ha mai pronunciato in tutta l’intervista la parola “cazzo”. Nevicherà, oggi?