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Jennifer e Joe Schittino, come sono e cosa fanno oggi i fratellini tristi del Costanzo Show

di Alessandro Dell'Orto domenica 24 agosto 2025

10' di lettura

Jennifer e Joe Schittino - li ricordate? - erano quei bambini siciliani (sorella e fratello di 9 e 12 anni), oggettivamente antipatici, ospiti fissi del “Maurizio Costanzo Show” («Abbiamo partecipato a una cinquantina di puntate e non venivamo pagati, ma solo rimborsati») dal 1989 al 1996. Saccenti, algidi, inquietanti, sempre seri, cinici e a volte pure irriverenti («Eravamo un po’ stravaganti, non lo neghiamo, ma su quelle caratteristiche ci giocavamo molto e prendevamo in giro un po’ tutti»), dividevano il pubblico tra chi li amava follemente e chi, invece, li detestava profondamente.

Quei due bambini, però, adesso dimenticateli perché Jennifer e Joe - 45 e 48 anni oggi sono l’esatto opposto di allora. Simpatici, cordiali, ironici, brillanti, a distanza di 30 anni raccontano quell’incredibile avventura televisiva («A casa ci arrivavano decine di lettere ogni giorno») e la loro vita attuale («Siamo sempre legatissimi, ci sentiamo spesso e tra noi, per non farci capire, parliamo una lingua speciale inventata in gioventù: il “glogassone”») da professionisti della musica: Jennifer è una talentuosa cantante lirica e vive a Pisa, Joe un affermato compositore che abita e lavora tra Caltagirone e la Germania.

Joe e Jennifer Schittino, che sorpresa. Eravate due bambini - senza offesa - abbastanza odiosi, mentre adesso siete diventate persone davvero simpatiche e brillanti. Chi l’avrebbe mai detto? 
JO: «Sì, ma ora fingiamo! No, scherzo. Ai tempi effettivamente io ero un po’ stronzo e saccente, anche se l’immagine dei fratelli lugubri era nata spontaneamente, nessuno ce la imponeva». 
JE: «E comunque giocavamo molto. Dietro le quinte ridevamo sotto i baffi perché prendevamo in giro tutti, un po’ pure Maurizio Costanzo. Ci piaceva vedere le espressioni stupite e incredule della gente».
Poi raccontiamo meglio. Partiamo dal presente: cosa fate? 
JE: «Vivo a Pisa da 12 anni, mi sono trasferita qui per amore e per lavoro. Sono sposata e ho un figlio». 
JO: «Io sto tra la Sicilia, che è la mia patria, e la Germania, che è il luogo dei miei sogni. Non sono sposato, se non con la musica».
A proposito, di cosa vi occupate? 
JE: «Insegno in una scuola media, ma soprattutto sono una cantante lirica specializzata in repertorio rinascimentale e barocco, un soprano. E mi esibisco in concerti da solista un po’ ovunque».
JO: «Io compongo musica sinfonica, faccio teatro musicale e e insegno al Conservatorio Alessandro Scarlatti di Palermo. Se suono? No, però sono suonato».
Buona questa. E, sembra di capire, nel tempo avete mantenuto un rapporto strettissimo. 
JE: «Ci sentiamo quasi tutti i giorni e, appena possibile, ci vediamo. Joe è sempre stato gelosissimo di me, diceva a tutti che era il mio fidanzato».
JO: «Quando abitavamo insieme Jennifer era una colf eccezionale, ora vivo a casa di una nobildonna a Caltagirone e mi devo arrangiare. Mi manca».
Ma quando vi sentite di cosa parlate? 
JO: «Più degli argomenti, la cosa interessante è come parliamo: in glogassone, una lingua inventata da noi. Quando vogliamo dire nefandezze senza farci capire dagli altri la utilizziamo».
JE: «È scritta e orale e l’abbiamo ideata quando eravamo piccoli e dicevamo di vivere in Glogassonia, regno nel quale Joe era il presidente del consiglio».
A questo punto facciamo subito un esempio di glogassone: Alessandro come si dice? 
JO: «Alaszànsru. Non pensi che sia semplice come l’alfabeto farfallino, questa lingua ha regole fonetiche complesse, con una declinazione di tre casi e due coniugazioni verbali. Il vocabolario, invece, è a misura di bambino e non è adatto a discorsi complessi».
JE: «Quando litighiamo, però, usiamo l’italiano perché questa è la lingua dell’amore e dell’amicizia».
Torniamo all’attualità: quando siete in giro per lavoro capita che qualcuno vi riconosca? 
JE: «Solo persone di una certa età. I giovani non sanno del nostro passato e ci domandano solamente se siamo parenti del comandante della Costa Concordia, che però è Schettino, non Schittino».
JO: «A me invece chiedono: “Come era Costanzo?”. E rispondo semplicemente: “Aveva due braccia e due gambe, come tutti».
Questa, però, è una battuta cinica stile “giovane Joe”. Allora approfittiamone e torniamo indietro nel tempo, ai vostri inizi. 
JE: «Nasco il 12 marzo 1980 e il nome completo è Jennifer Arlette Valentine».
JO: «Io il 7 febbraio 1977 e sono Joe Seymour Lee».
Perché tutti questi nomi? 
JO: «Idea di mamma Anna Maria».
JE: «“Così se un giorno farete gli artisti non avrete bisogno di nomi d’arte”, ci diceva».
Bambini timidi? 
JO: «Io molto, ma con tanta curiosità e voglia di sapere. A 3 anni compongo le prime musiche e a 5 leggo “Petrolio” di Pasolini. E quando mia madre mi dice “Joe, dovresti uscire con i tuoi amici a giocare a calcio”, io rispondo: “Mater, necesse mihi est studere”, mamma ho bisogno di studiare. Una volta Costanzo, in trasmissione, mi domanda: “Giochi a pallone?”. E io: “Della sfera ne calcolo solo il volume”».
JE: «Io sono meno timida. Da piccola sogno di diventare un chirurgo e mi diverto a squartare bambole: apro la pancia e ci infilo dentro triti di pollo fingendo che siano viscere».
Aiuto. Dove crescete? 
JE: «Nella galleria d’arte dei nostri genitori a Siracusa, con annessa bottega di legatoria e restauro dei libri antichi».
JO: «È un posto di polvere e cultura, naturale scoprire il fascino di quei tesori. Stiamo meglio lì che a casa».
Perché? 
JE: «La nostra è un’abitazione un po’ strana...».
JO: «Nelle stanze è tutto ammassato e nei corridoi si cammina a fatica».
Ma di questa infanzia “particolare” ne pagate le conseguenze? 
JE: «A livello di ansia un po’ sì. Tuttora non sappiamo nuotare pur essendo cresciuti a 100 metri dal mare, non sappiamo andare in bici e io ho preso la patente a 40 anni».
JO: «Io non l’ho mai presa».
JE: «Malgrado tutto ciò, però, siamo venuti su bene, dai».
Ma da bambini andate sempre d’accordo? Perché quelle smorfie? 
JE: «Io per dispetto, quando litighiamo, metto gli scritti di Joe sul fornello acceso. E poi gioco a calcio con il modellino della nave “Bismarck” che ha appena ultimato».
JO: «In cambio io infilo l’orsacchiotto di mia sorella nella vaschetta dell’acido muriatico e poi sbriciolo dentro il letto chili di terra bagnata della mia pipì».
Due pesti, insomma. Ma come ci arrivate al “Maurizio Costanzo Show”? 
JO: «Una mattina del 1989 un giornalista porta a rilegare dei volumi in negozio e mi trova assorto nella lettura di un libro di Moravia. Mi fa una piccola intervista che poi capita sul tavolo della redazione di Costanzo».
JE:«Non solo. Joe a 12 anni pubblica un libro di poesie, un giornalista de “La Sicilia” scrive una recensione che viene letta da chi lavora con Costanzo. E così lo invitano».
Ah, la prima volta, come ospite, viene chiamato solo Joe? 
JO: «Sì, mi contattano per la puntata del 16 agosto 1989 e considero tutto ciò una scocciatura perché devo abbandonare la lettura di un libro interessante. Costanzo mi vede come un 12enne bizzarro e mi domanda: “Ma per caso hai anche una sorella?”».
JE:«E così dalla volta successiva invitano sempre anche me, che ho 9 anni, sono un po’ meno strana e sorrido di più».
A quante puntate partecipate? 
JO: «Una cinquantina in tutto tra il 1989 e il 1996, ci chiamano più o meno una o due volte al mese».
JE:«Tutto spesato, ma senza prendere soldi. Funzioniamo e gli autori ci dicono che noi e Sgarbi siamo quelli che alzano l’audience».
In trasmissione sembrate due ragazzini stranissimi, vestiti in modo insolito e fuori dal tempo. Ma davvero non fingete mai? 
JO: «Siamo semplicemente noi stessi, non c’è un copione da seguire. Costanzo lo vediamo due minuti prima di andare in scena e poi si va a braccio».
JE: «Gli abiti li sceglie nostra mamma, che ci veste come lord inglesi. Noi, poi, non facciamo altro che portare all’esasperazione le nostre caratteristiche: Costanzo ci vuole mettere in difficoltà e noi gli rispondiamo a tono. Niente di più».
Joe, lei in trasmissione fa spesso il fratello maggiore un po’ severo. 
JO: «Sì, sono spigoloso, sarcastico e cinico».
JE: «Ma lo è pure nella vita. Una volta, in quegli anni, cado in bicicletta e, anziché aiutarmi a rialzarmi, commenta: “Sorella, sei caduta senza stile”».
Urca, cattivello. Spesso, al “Costanzo Show”, vi esibite pure al pianoforte. 
JE: «In un duo a quattro mani con brani scritti da Joe. Titoli tipo “Uomo stanco della vita”, oppure “Escrementi di piccione sulla testa del suo cacciatore”».
JO: «Bracardi per me è fondamentale, mi fa da mentore. “Sei dotato, perché non frequenti il conservatorio?”, mi dice. E mi suggerisce anche di iscrivermi alla Siae».
Facciamo un giochino: scegliete un personaggio a testa, trai tanti ospiti incontrati, che vi è rimasto impresso. 
JE: «Pamela Prati. Una volta mi abbraccia con forza e la mia testa sparisce in mezzo alle sue meravigliose tette».
JO: «La cantante lirica Renata Scotto. Mi dice: “Sei un bambino bellissimo!”. E io, dentro di me: “Ma questa come si permette?”. Poi Sonia Cassiani, gran persona: è un angelo, non è fatta per questo mondo».
Cosa non dimenticherete mai del “Costanzo Show”? 
JE: «Le torte e i buffet prima e dopo la trasmissione. Quante mangiate...».
JO: «Un furioso e terribile litigio, per un uomo, tra due showgirl - non ricordo chi fossero - prima del programma: morsi, tirate di capelli, insulti. Poi, una volta in scena, complimenti e carezze. Lì ho capito che la tv è finzione».
Un ospite antipatico? 
JO: «Il comico Francesco Salvi non mi era particolarmente simpatico».
JE: «Io sono diversa da Joe, lui è nordico, io più solare: mi piacevano tutti».
Dopo quante puntate capite che la tv vi sta dando notorietà? 
JE: «Subito. Dopo una delle prime serate usciamo dall’hotel ai Parioli e la gente ci regala pupazzi, ci ferma, ci riconosce».
JO: «E io, ovviamente, reagisco scocciato perché la fama mi dà solo fastidio».
A Siracusa, nella vostra città, invece che succede? 
JO: «Il postino è disperato, arrivano anche 40 lettere al giorno e alcune perfino senza indirizzo, solo nome e cognome».
JE: «Per noi diventa difficilissimo uscire di casa: ogni mattina, davanti al portone, c’è una folla di curiosi che vuole vedere i due “fenomeni”. Alcuni ci fanno i complimenti, ma c’è anche chi ci commisera e ci odia. Qualcuno arriva pure a tirarci le pietre addosso».
E a scuola? 
JO: «Grossi problemi, i prof sono spesso ostili nei nostri confronti».
JE: «Ma anche i compagni di classe. Noi in quel periodo andiamo d’accordo con gente più grande di 30 anni, più che con i nostri coetanei. L’unica che mi capisce è Lucia Azzolina, poi diventata ministro dell’istruzione: è la mia migliore amica e mi sta vicina».
La vostra esperienza in tv finisce nel 1996. Perché? 
JE: «Costanzo inizia a puntare su tematiche più sociali e meno culturali e noi non abbiamo più nulla da dire».
JO: «Le ospitate si diradano gradualmente, ma senza traumi: viviamo tutto con naturalezza».
Nel frattempo, però, fate anche un’esperienza al cinema: nel 1990 partecipate al primo cinepanettone della storia: “Vacanze di Natale ‘90”. 
JO: «Molto divertente. Il set è nella villa accanto a quella in cui, l’anno dopo, ci sarà il delitto dell’Olgiata. Stanze immense, quadri meravigliosi. E diventiamo l’incubo degli scenografi perché si gira una scena in cui c’è da mangiare gamberetti e noi, ad ogni ciak, li finiamo tutti».
JE: «Abatantuono è un esempio di cortesia e un professionista straordinario: recita senza copione, improvvisando».
Finita l’avventura in televisione e sul grande schermo tornate alla vita normale. 
JE: «Ma restiamo nel mondo dello spettacolo, nel senso che ci iscriviamo entrambi al Conservatorio di Catania, io per il canto lirico e Joe per il pianoforte».
JO: «I soldi in famiglia però sono pochi. Per fortuna incontro una mecenate».
Cioè? 
JO: «Una signora mi sente suonare trova che abbia talento e decide si sovvenzionarmi tutto il percorso di studi».
JE: «Io invece mi pago tutto da sola».
Lezioni, corsi, esperienze teatrali fino ad arrivare all’apice di due carriere brillanti da cantante e compositore. Jennifer e Joe, siamo tornati al presente e finiamo con le ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione?  
JE: «Cantando molta musica sacra mi rendo conto che Dio c’è, indipendentemente da come lo si chiami».
JO: «Bisognerebbe chiedere alla religione quale è il suo rapporto con me. Credo che esista la trascendenza, ma nel momento in cui diventa uno strumento di potere non mi piace più».
2) Paura della morte? 
JE: «Tantissimo».
JO: «No, assolutamente».
Jennifer, perché quella smorfia?  
JE: «Quando, tre anni fa, è morta nostra mamma è stato Joe a comunicarmelo. Sa come? Con una telefonata in cui diceva: “Sorella, vostra madre è deceduta”».
JO: «Vabbè, ma che c’è di male? Io non chiamo mai nessuno per nome, lo trovo orribile, e a volte mi piace dare del voi. Poi sai che sono cinico».
3) C’è una musica “moderna” che vi piace? 
JE: «I Beatles».
JO: «I compositori polacchi».
Riproviamoci: qualcosa di più moderno? 
JE: «Claudio Baglioni e Lucio Corsi».
JO: «Lucio chi? Mai sentito. Sa quale musica trovo interessante? Quella del “Quartetto Cetra”, semplice ma con armonie e una struttura non banali. Poetica direi».
4) Un ospite del Costanzo con cui, se possibile, ora vorreste andare a cena? 
JE: «Pamela Prati, bellissima persona. Ricordo ancora il suo profumo».
JO: «Sora Lella, una donna meravigliosa. Soffriva dentro perché non era capita e viveva all’ombra del fratello Aldo Fabrizi. Le ho voluto davvero tanto bene».
5) Se poteste re-incontrare Costanzo, invece, cosa gli direste? 
JE: «Gli chiederei di assistere a un mio concerto come unico spettatore: glielo dedicherei».
JO: «Gli domanderei se è contento di me, di quello che sto facendo. Lui aveva scommesso su di noi, credeva in noi».
Ultimissima. Avete ancora un sogno? 
JE: «Che finalmente Joe componga qualcosa per me e che mi dia un ruolo in una sua opera. Sarebbe ora...».
JO: «La vera domanda è: ho un sogno o sono un sogno? Boh, io vivo la mia vita come se fosse distante dalla realtà».

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