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Da eccellenza a simbolo del caos: così stanno umiliando il teatro di Taormina

Una cornice che tutto il mondo ci invidia, dove la storia incontra la musica. Un gioiello che dovrebbe brillare sempre di grandezza e invece, troppo spesso, diventa il palcoscenico di sceneggiate fuori copione
di Enrico Stinchelli martedì 26 agosto 2025

2' di lettura

Taormina, il Teatro Antico: una cornice che tutto il mondo ci invidia, dove la storia incontra la musica. Un gioiello che dovrebbe brillare sempre di grandezza e invece, troppo spesso, diventa il palcoscenico di sceneggiate fuori copione. È successo ancora con l’Aida del 24 agosto: lo spettacolo è iniziato con novanta minuti di ritardo, tra fischi, proteste e un pubblico internazionale incredulo. Qualcuno ha raccontato di aver dovuto perfino pagare due volte lo stesso biglietto, come in una tragicommedia burocratica. Non si trattava più di Verdi, ma di un vaudeville involontario, sotto le stelle della perla siciliana. Il guaio è che non si tratta di un caso isolato, ma di un vecchio vizio di Taormina: una gestione allegra, distribuita “a pioggia” dal Comune, che assegna date ed eventi senza criterio.

Un metodo che porta sul palco impresari improvvisati e compagnie senza mezzi. Il risultato, puntuale, è la figuraccia. Il paradosso è evidente: il teatro più bello del mondo ridotto a ring di polemiche, dove il turista, arrivato da Tokyo o da New York per ascoltare Aida in uno scenario unico, si ritrova spettatore di un pasticcio organizzativo degno di una sagra di provincia. Taormina, da vetrina della cultura italiana, si trasforma così in barzelletta internazionale. Non è solo un concerto iniziato tardi, ma un problema cronico: pagamenti mancati agli artisti, contratti ballerini, improvvisazione gestionale. Una roulette che manda a monte serate che dovrebbero essere trionfi. Stessa sorte ha subito il previsto concerto di Placido Domingo lo scorso 14 luglio, annullato senza preavviso, con gli spettatori muniti di biglietto chiusi fuori dai cancelli del Teatro.

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A Taormina capita davvero di tutto: impresari che improvvisano comizi per calmare gli spettatori inferociti, pubblicità esagerate a fronte di serate modestissime o annullate last minute, teatro semivuoto e con gli spettatori in fuga. Il pubblico paga - e paga caro per avere Verdi, Bellini, Puccini, e invece si ritrova davanti a fischi e proteste. Gli artisti pretendono serietà, e quando non la trovano si arriva all’assurdo di spettacoli interrotti, scene surreali, malori veri o presunti. È l’Italia che, di fronte a un tesoro unico, riesce a trasformarlo in un problema. Si potrebbe ridere, se non ci fosse da piangere. Perché non è un incidente, ma un copione ripetuto negli anni: Taormina come “grande bellezza” e “grande improvvisazione”.

E allora la domanda resta: come è possibile che, nella cornice più preziosa della lirica, la regia non sia quella di Verdi ma quella del caos? Il Teatro Antico meriterebbe di essere un tempio della cultura, non il set di uno spettacolo tragicomico ma finché a decidere saranno le logiche della distribuzione scriteriata, più che quelle della professionalità, il rischio è che Aida e compagnia diventino comparse in un dramma più grande: quello di un’Italia che non sa valorizzare i suoi tesori. E così, tra fischi, biglietti doppi e sipari tardivi, più che Aida a Taormina va in scena il “cash & carry” degli impresari furbi.

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