La grazia infiamma la Mostra di Venezia. Un’opera che conferma l’ossessione di Paolo Sorrentino per i dilemmi morali e per il tema del potere, questa volta declinato in chiave istituzionale, con Toni Servillo nel ruolo del Presidente della Repubblica Mariano De Santis, vedovo, cattolico, giurista, uomo di legge chiamato a decidere su due richieste di grazia legate all’eutanasia. Il film nasce da uno spunto reale: la grazia concessa da Sergio Mattarella a un uomo che aveva ucciso la moglie malata di Alzheimer. Da lì Sorrentino ha immaginato un presidente che vive il Quirinale come luogo solenne e silenzioso, in cui la routine del potere è interrotta da dilemmi più grandi di lui.
Non soltanto la firma di una legge controversa, ma la questione di coscienza che si intreccia con il suo lutto privato: l’amore mai sopito per la moglie scomparsa otto anni prima, e la presenza della figlia (Anna Ferzetti), anch’essa giurista, con cui condivide una fede nel diritto e nella responsabilità pubblica.
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«Questo è un film sull’amore - ha spiegato Sorrentino l’amore per una donna, per una figlia, ma anche per la Repubblica, per il diritto, per un’idea di politica che oggi sembra inattuale. Mi piaceva raccontare un presidente innamorato non solo della moglie che non c’è più, ma anche del concetto stesso di Repubblica, intesa come alto esercizio di responsabilità». Il riferimento a Mattarella è inevitabile. Se il regista si schermisce, dichiarando di non aver voluto costruire un ritratto diretto, lo spettatore non potrà non cogliere echi del presidente in carica nella figura di Mariano De Santis: la sobrietà, la pacatezza, il senso delle istituzioni. Toni Servillo, con la sua misura, contribuisce a questa impressione: «Molti presidenti - ha detto sono stati vedovi, uomini di legge, padri di una sola figlia, napoletani. Non c’è un riferimento preciso, ma un grande spettro di figure. Io stesso non ho nulla in comune con questo personaggio: Paolo mi ricordava sempre che non potevo indulgere nell’emotività, perché dovevo restare nel decoro che impone la carica».
Il decoro, la maschera, l’aplomb. Da Giulio Andreotti ne Il Divo al dandy Jep Gambardella ne La grande bellezza, passando per i personaggi silenziosi e tormentati di Le conseguenze dell’amore e L’uomo in più, Servillo ha incarnato uomini dietro una facciata, figure in cui la rigidità esteriore cela un magma di sentimenti inespressi.
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Fra le tante eccellenze italiane, si può citare (ironizzando) anche l’autolesionismo verso noi stessi. Pure...UOMO DI POTERE
Anche Mariano De Santis appartiene a questa galleria: un uomo di potere che nasconde un dolore privato, un presidente che cela l’incertezza dietro la compostezza istituzionale. Sorrentino non lo nasconde: l’ispirazione viene da Kieslowski e dal suo Decalogo, con i suoi dilemmi morali che valgono più di qualsiasi trama. «Il dubbio - ha detto il regista è poco frequentato in politica. Negli anni della Prima Repubblica degenerava in immobilismo, oggi si assiste a uomini di potere che si presentano con certezze granitiche. Solo che una volta erano sostenute da ideologie, oggi sono per lo più strampalate».
La grazia recupera l’idea di politica come esercizio del dubbio e della responsabilità. La dimensione privata del presidente De Santis non è un orpello sentimentale, ma il cuore stesso del film. L’amore, la paternità, il rapporto con una figlia che rappresenta il futuro: sono questi i contrappunti emotivi che danno senso al potere. «Un politico- ha aggiunto Sorrentino - può dirsi tale solo se incarna la paternità, non se indossa i panni del figlio scapestrato. Mariano De Santis è un padre nobile, ma sa anche tornare figlio e mettersi in ascolto del presente attraverso i giovani». Un Paese guidato da un presidente devoto al dubbio e all’etica. Forse un’illusione, forse un desiderio. Ma soprattutto un’altra grandiosa maschera di Toni Servillo.