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Bellocchio dirige "una vergogna italiana"

di Alessandra Menzani martedì 2 settembre 2025

3' di lettura

Nella giornata in cui a Venezia, in concorso, sono stati presentati due film “di peso” come The smashing machine con Dwayne Johnson ed Emily Blunt e Il testamento di Ann Lee con Amanda Seyfried, a noi italiani l’opera che sicuramente sta più a cuore è quella fuori concorso dedicata a uno dei peggiori casi di malagiustizia della nostra storia. Un caso di una gravità unica ma che va ancora raccontato perché pottrebbe succedere anche oggi, anzi forse è già accaduto. Parliamo della serie Portobello di Marco Bellocchio, in cui Fabrizio Gifuni interpreta il popolarissimo conduttore Enzo Tortora. Il regista piacentino, 85 anni portati con furore, racconta perché ha deciso di dedicarsi a questa storia: «La prima scintilla è stato leggere il libro di Francesca Scopelliti, Lettere a Francesca, quelle che Tortora scriveva dal carcere alla sua campagna. Ho quindi lavorato su quest’uomo innocente, solo in carcere, e verso cui in un certo momento si guardava con un certo distacco».

All’epoca, Tortora era a lui estraneo: «Mi piaceva raccontare la sua storia come rappresentazione di un’ingiustizia perpetrata troppo a lungo», ha aggiunto. «Mi attirava il fatto che non era un eroe», aggiunge il cineasta, «ma una persona comune con cui non condividevo nulla. All’epoca ero già a Roma, lo avvertivo, ma Tortora era una delle cose più lontane da me, anche perché lui era liberale e io impegnato in altre direzioni per motivi ideologici. Certo il successo era importante, forse solo le partite di calcio hanno avuto più ascolti». Sul rapporto con la famiglia Tortora, in particolare le figlie, Bellocchio ha sottolineato che «la figlia e anche Francesca Scopelliti hanno visto le prime due puntate. Non c’è stata alcuna ingerenza». «Abbiamo fatto una ricerca molto ampia e disordinata, certamente c’è qualcosa di rivelatorio nel film, come il fatto che la compagna di Tortora fosse credente, mentre lui ha invece sempre rivendicato il suo agnosticismo», ha proseguito Bellocchio, che con Portobello ha lavorato alla prima produzione italiana targata Hbo Max. Ieri alla proiezioni veneziana era presente anche il ministro della Giustizia, Carlo Nordio. Bellocchio ha mostrato i primi due episodi. La serie completa potrebbe essere presentata alla Berlinale?

«Non lo so, speriamo di finire gli altri quattro episodi entro la fine dell’anno». Tortora fu accusato di far parte della camorra e di traffico di droga sulla base di false testimonianze. Peraltro solo Vittorio Feltri, all’epoca cronista, fu l’unico a prendersi la briga di leggere gli atti giudiziari e dimostrare l’innocenza di Tortora. Bellocchio esplora il volto tragico di una democrazia che inciampa nella giustizia e la brutalità mediatica che trasforma un processo in spettacolo. Fabrizio Gifuni, ormai veterano delle biografie televisive o cinematografiche, ammette: «È una storia che ha lasciato una ferita profonda nella storia italiana. Si parte nel ’77 con la tv ancora in bianco e nero, si interrompe nel 1983 mostrando già un’altra Italia, passata dalle morti di Pasolini e Moro. Io all’epoca la sera ascoltavo i processi su Radio Radicale e mi appassionai a questa vicenda. Ora ho scoperto cose che non conoscevo, come il fatto che un personaggio così amato aveva accumulato anche un sotterraneo forte sentimento di antipatia». Gifuni spiega l’antipatia verso Tortora per la sua «libertà totale di dire certe cose, tanto che già prima di Portobello aveva subito un allontanamento di 7 anni dalla Rai per averla criticata». «È tra quelli che più di tutti si batte per la liberalizzazione delle tv, da giornalista scriveva cose da far saltare sulla sedia. Sulla P2 ha scritto cose di una forza che andrebbero lette. Non apparteneva né alla Dc, né era comunista, non era nemmeno massone come diceva lui», nella sua vicenda «c’è sicuramente quella cosa barbara di vedere cadere un personaggio famoso». Un sentimento miserabile che alberga ancora oggi in tanti cuori.

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