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Beatrice Venezi, l'uscita a vuoto di Michele Serra: paternale sinistra

La firma di Repubblica si scaglia contro la direttrice d'orchestra. Ma ancora una volta sbaglia tutto
di Enrico Stinchelli domenica 28 settembre 2025

3' di lettura

Dondolandoci sull’«Amaca» di Michele Serra (Repubblica, 27 settembre), è d’obbligo indossare il saio prima di varcare la soglia: siamo nel monastero radical chic. Si entra in punta di piedi, tra incensieri linguistici e campanelli retorici, per ascoltare l’ennesima omelia laica sul Bene e sul Male culturale. L’articolo su Beatrice Venezi è presentato come riflessione, ma ha il passo del sermone: il celebrante dall’ambone, i fedeli in ginocchio, e in mezzo l’eretica da ricondurre al gregge. Solo che qui il catechismo non è musicale: è motivazionale. Serra non critica: impartisce lezioni. Non argomenta: benedice e bacchetta. È il maestrino che fa la predica al Maestro.

Il cuore del messaggio è una rivelazione da manuale di autoaiuto: «Per essere stimata, la direttrice d’orchestra deve dimostrare sul campo di essere brava, anzi bravissima». Grazie, davvero: domani aspettiamo l’ulteriore scoperta che per vincere i 100 metri bisogna correre più veloce. Nel frattempo ci si raccomanda di non gridare ai “comunisti!” in orchestra: che lieto quadretto — i violini come sezione locale del Pci, i fagotti in assemblea permanente – tutto per strappare un sorriso e non dover ammettere che l’argomento è un pregiudizio vecchio come il dopoguerra: la cultura apparterrebbe alla sinistra, la destra può al massimo bussare e chiedere permesso. Arrivano poi i giganti, che Serra consiglia come modelli : Karajan e Bernstein, trattati a uso e consumo del discorso del giorno. Il primo, non esattamente “antifa”, viene archiviato con un’alzata di spalle: «Era bravo, punto». Il secondo, ridotto al patriarca dei «radical chic», come se la sua grandezza si misurasse a inviti a cena. È un modo leggero – troppo leggero – di usare la storia come scenografia: il palco nobilita la tesi, non la mette alla prova. Il finale è il pezzo forte del zuccherificio retorico: «È quanto le auguriamo, di cuore». 

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Dopo aver spiegato alla «maestra (anzi, maestro)» come comportarsi e persino come farsi perdonare l’appartenenza politica, ecco la carezza paternalistica: l’assoluzione con condizionale. Sembra incoraggiamento; suona epitaffio. Sotto il velo di bonomia resta l’assunto irrinunciabile: l’egemonia culturale come diritto naturale. Un copione antico, figlio di una spartizione sedimentata: la sinistra alle cattedre morali (magistratura e cultura), la destra ai compiti di fatica. In questo schema, chi osa uscire dal recinto — una giovane direttrice che non appartiene alla parrocchia giusta — va derubricata a «promossa politicamente». Non serve ascoltarla: basta inquadrarla.

E tuttavia la musica ha una cattiva abitudine: smentire le ideologie. Sul podio non c’è la tessera, c’è il gesto. In buca non c’è il voto, c’è il suono. Funziona o non funziona, emoziona o non emoziona. Tutto il resto è soprammobile retorico. Se Venezi dovrà “dimostrare”, lo farà come chiunque: davanti a professori più severi di Serra, cioè il pubblico e l’orchestra. Ma una critica onesta si formula sul merito (prova, fraseggio, lettura, equilibrio, autorità), non con la pacca sulla spalla dall’alto del pulpito ideologico. E qui sta la stonatura dell’Amaca: non l’ironia – che sarebbe legittima – il paternalismo. Perché il sarcasmo senza argomento è solo snobismo, e lo snobismo in gonnella da sacrestia resta snobismo. Se davvero «il tempo è galantuomo», come scrive Serra, lasciamolo lavorare senza prefissi politici. E quando la musica parlerà – bene o male – accettiamone il verdetto senza patente di superiorità.

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In conclusione, più che un articolo, questa “Amaca” è un bugiardino di virtù precotte: prendere una per volta, con un bicchiere d’acqua tiepida. Prescrizione: non superare le dosi di paternalismo consigliate. Effetti collaterali: nausea da radical chic e sonnolenza intellettuale. Controindicazioni: l’Arte — quando compare, smonta l’intero discorso. E, miracolo, non ha bisogno della benedizione di nessuno.

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