Capelli tirati indietro con il gel e parlantina veloce, Nino Formicola l’abbiamo conosciuto come Gaspare, la spalla (ma spesso i ruoli si ribaltavano) del commissario Zuzzurro (Andrea Brambilla). L’affiatatissima coppia (ricordate il tormentone «Ce l’ho qui la brioche»?) ci ha fatto divertire con una comicità leggera ma intelligente, mai volgare, ed è esplosa in tv negli Anni ’80 (“Non Stop”, “La sberla”, “Drive In”) per poi dedicarsi alla vera passione: il teatro. Fin quando, il 24 ottobre 2013, Andrea Brambilla è morto e Nino si è ritrovato completamente solo dovendosi reinventare perché «con Zuzzurro è morto anche Gaspare».
Buongiorno Gaspare. O preferisce essere chiamato Nino?
«Sono abituato a tutto: c’è pure chi mi ferma dicendomi “Zuzzurro, mi fa l’autografo?”».
Cosa risponde?
«Che Zuzzurro è morto e con lui è morto anche Gaspare. Ormai mi firmo solo come Formicola».
È stata dura ricostruirsi?
«Difficilissimo. Da 13 anni la gente pensa che non lavoro più e si è un po’ dimenticata di me. Per questo nel 2018 ho partecipato a “L’isola dei famosi”: per dimostrare che Formicola era ancora vivo».
E l’ha vinta. È servito?
«Non molto, io continuo a fare teatro, che però se lo filano in pochi. Non è stato facile ripartire da solo perché avevo sempre lavorato in coppia».
Con cosa è in scena?
«“Forbice e follia”, siamo un bel gruppo e con Max Pisu c’è grande affinità. Abbiamo iniziato due anni fa, presto lo riprenderemo».
Andrea le manca?
«Tanto. Guardi qui, ho ancora il suo numero nella rubrica del cellulare e ogni volta che salgo su un palcoscenico lo penso. Lui è sempre presente nella mia vita, anche in questa casa sulle colline di Piacenza».
In che senso?
«L’aveva trovata Andrea, casualmente, ed era stata divisa tra noi».
Qui ci vive stabilmente?
«Passo gran parte del tempo, perché mia moglie (Alessandra Raya ndr) può lavorare da remoto. E perché Milano ormai è invivibile, tra monopattini e biciclette. Qui in campagna invece sto bene: ormai sono in là con gli anni e ho cambiato abitudini».
Cosa fa?
«Cucino, leggo, guardo la televisione».
Pure programmi comici?
«Quelli veramente interessanti sono pochi: ora si sparano solo battute a raffica, ma la vera comicità è un’altra cosa.
È far ridere il pubblico per due ore, non per pochi minuti».
Un comico che le piace?
«Ale e Franz, Zalone, Ficarra e Picone, il Mago Forrest. Soprattutto, poi, la Gialappa’s che sa valorizzare tutti».
Tornerebbe in tv?
«Sì, ma ho l’età dei datteri e sono cambiate le dinamiche. Qualcuno mi ha proposto di fare l’opinionista, ma sarei pericoloso perché dico quello che penso e sono uno spirito libero: nella mia vita ho avuto la fortuna di fare sempre quello che sognavo».
Torniamo all’inizio, al piccolo Antonino Valentino.
«Nasco a Milano il 12 giugno 1953. Papà Umberto fa l’industriale, mamma Liana la casalinga. Ma per scelta: è Miss Milano e Miss Lombardia e la chiamano per fare l’attrice nel film “Miracolo a Milano”, ma dice no».
Figlio unico?
«No, una sorella: Francesca detta Cocca».
Che bambino è?
«Curioso, mi piace osservare e a 5 anni so leggere. Il mio sogno è diventare archeologo».
Scuole?
«Liceo classico Carducci di Milano e sono in classe con Lella Costa, che è la prima cotta della mia vita».
Si dichiara?
«Nooo, a quell’età mi vergogno come un ladro: lo verrà a sapere solo anni dopo».
Come si avvicina al mondo dello spettacolo?
«Mamma mi porta spesso a teatro e a 16 anni vedo uno spettacolo de “I Gufi”, che mi illumina. Poi, ascoltando i dischi, scopro Dario Fo».
È in quel periodo che esplora il cabaret?
«Sempre con mia madre vado al “Derby” e, con un vecchio registratore Philips nascosto sotto la pancia, registro tutti i comici».
Il suo primo gruppo?
«“I Licantropi”: siamo in sei, tra cui mia sorella e mio cugino. Inizialmente facciamo pezzi di altri, poi scrivo “Jesus Christ Story” e affitto il locale “Refettorio”, un posto frequentato da Maurizio Micheli, i Giancattivi e Leopoldo Mastelloni. Ed è un successo».
È lì che conosce Andrea Brambilla?
«Una sera, nel 1975, viene al locale mentre siamo in scena. Lui, che in quel periodo lavora in coppia con un altro, chiede chi è l’autore, ci presentano e mi chiede di collaborare ai suoi testi. Però conosce anche mia sorella...».
Ha lo sguardo perplesso.
«Andrea e Cocca poco dopo si sposano e restano insieme fino al 1988, quando si separano. Finalmente».
Perché?
«Lavorare con il proprio cognato, in tutti quegli anni, è un casino. Nelle liti io finisco sempre al centro: “Quell’imbecille del tuo socio...”, “Quella scema di tua sorella...”».
Torniamo agli esordi. Primo spettacolo insieme?
«Ad un certo punto Andrea litiga con l’altro e inizia a lavorare con noi. Scriviamo la parodia di un giallo che si intitola “Mistero e foglie di spinaci”, Andrea fa il commissario, io copro cinque ruoli diversi e ci esibiamo al “Derby”».
Locale storico di Milano in cui sono nati molti miti della comicità. Un personaggio che non dimenticherà mai?
«Gianfranco Funari, che fa il cabaret ed è fondamentale per noi: ci insegna i tempi comici e ci imposta».
A proposito del commissario, subito qualche curiosità: perché si chiama Zuzzurro?
«Il nome lo sceglie Andrea da un personaggio del film “Giudizio Universale” di Vittorio De Sica: una voce dal cielo annuncia che si procederà in ordine alfabetico e un vecchietto esulta dicendo “Io sono Zuzzurro!”».
L’impermeabile, invece, da dove arriva?
«Un nostro amico torna da Londra con un barbour nuovo e Andrea, appena lo vede, gli chiede: “Me lo presti?”. Da quel momento diventa l’impermeabile del commissario».
Come mai la voce di Zuzzurro ha la “esse” che sibila?
«L’idea viene perché il pianista che ci accompagna negli spettacoli parla così».
Continuiamo con i vostri inizi di carriera: fondate il gruppo “La compagnia della Forca”, con Marco Columbro e Barbara Marciano, e fate un provino per la trasmissione tv “Non Stop”. Ha una strana espressione...
«I provini in realtà sono sette, perché a quei tempi la selezione è molto alta. Al penultimo ci bocciano: “Ci interessa solo lo sketch del commissario, la prossima volta portate quello”».
Dunque da quattro dovete diventare due: serve solo una spalla a Zuzzurro.
«Io faccio solamente le colonne sonore, suono la chitarra e produco i rumori e la prima scelta, ovviamente, è Columbro. Che però ha altri progetti di teatro e rifiuta. “Ci sarebbe quel “cazzone” di Formicola”, dice allora Andrea agli autori della trasmissione. E andiamo noi».
Così nasce il duo.
«Succede tutto in una notte casualmente. Siamo in un cabaret a Roma, fa un caldo infernale e ci sono Mondiali di calcio del 1978: tradotto nessun spettatore. Chiamiamo un po’ di amici a farci da claque e Andrea, improvvisamente, mi dice: “Stanno arrivando quelli della Rai per il provino!”. Io ho la testa sotto il rubinetto per rinfrescarmi e mi tiro indietro i capelli bagnati. Lui allora si spettina per contrasto».
Come va l’esibizione?
«Saliamo sul palco, ma ci rendiamo conto che abbiamo solo il nome di Zuzzurro, perché negli sketch precedenti io sono solo il suo “assistente carogna”. Andrea comincia e non sa come chiamarmi, alza la testa, vede il proprietario del locale in fondo dietro il bancone del bare, d’istinto, mi chiama come lui: Gaspare. Quelli della Rai, sulla scheda, scrivono “Gaspare e Zuzzurro”, che diventa così il nome ufficiale della coppia».
Vi prendono per “Non Stop” e l’anno dopo fate anche “La Sberla”.
«Poi però capiamo che non siamo strutturati, che abbiamo bisogno di fare gavetta. E ci fermiamo con la tv».
Cosa fate?
«Lavoriamo a teatro con Rita Pavone e Teddy Reno nella commedia “Gli amici”: ci esibiamo ogni sera davanti a un pubblico vero e cresciamo».
Così, nel 1982, tornate in tv ad “Antenna 3”.
«Sì, ma inizialmente solo come autori di Boldi e Teocoli per il programma “Non lo sapessi ma lo so”. L’esordio però è in salita».
Cioè?
«Presentiamo a Teo il primo sketch, lui lo legge e commenta: “Fa cagare”. E lo straccia».
Urca. Col senno di poi: aveva ragione?
«Ragionissima, lui è uno dei più bravi mai incontrati. Poi, però, troviamo la strada giusta e alla fine, per loro, scriviamo 45 puntate da tre ore l’una».
Come avviene, invece, l’approdo a “Drive In”?
«Per sbaglio. Berlusconi si “compra” Boldi e Teocoli e Teo chiede che sul contratto ci sia scritto che gli autori saremo noi. Riunione ad Arcore, Teocoli e il Cav discutono, non sono d’accordo sulla proposta e ad un certo punto Teo dice: “Lei costruisca pure Milano 2 che io faccio il mio mestiere”. Gelo. Io e Andrea non sappiamo dove nasconderci e Teocoli viene accompagnato alla porta. Boldi, invece, va a “Drive In” e noi continuiamo a scrivergli i testi finché...».
Che succede?
«Nelle ultime puntate c’è un buco e ci chiedono di esibirci, funzioniamo e Berlusconi ci nota».
Poi?
«Veniamo premiati, al teatro Manzoni, come migliori autori comici dell’anno: esco a fumare e incontro il Cavaliere. “Complimenti, mi piacete. Venite domani ad Arcore che vi faccio firmare un nuovo contratto in esclusiva di tre anni”. Rientro in sala e lo racconto ad Andrea. Lui mi manda a quel paese: “Cosa cazzo dici, non prendermi in giro!”».
Perché ride?
«Riesco dalla sala gattonando per non disturbare e raggiungo Berlusconi: “Dottore, Andrea non ci crede”. Lui allora mi segue e, gattonando entrambi, arriviamo da Andrea: “Cribbio, se glielo comunico personalmente ci crede?”».
Meraviglioso. A “Drive In” fate il boom e diventate famosissimi.
«Lo capisco una mattina quando, andando da Andrea, accendo la radio e sento tutti ripetere il tormentone “Ce l’ho qui la brioche”».
A proposito, come nasce?
«Da una mia cazzata. Diretta ad “Antenna 3” davanti a 1500 spettatori e mi accorgo di aver dimenticato in camerino un oggetto importante per la fine della scena. Mollo Andrea da solo davanti al pubblico, lui non sa che dire e improvvisa una telefonata ricordando quando la mamma prima di andare a scuola gli faceva una testa così chiedendo: “Hai preso tutto?”. E se ne esce con: “Ce l’ho qui la brioche!”, come dire “Non rompermi le palle”. Il pubblico ride e il regista Recchia si esalta: “Funziona, tenetelo”».
Nino, raccontiamo bene la vostra coppia. Il segreto del successo?
«Un consiglio prezioso di Gaber, che per noi era come Dio: “Il pubblico non deve mai sapere da che parte esce il coniglio”. Capito? Sorprendere scambiandosi i ruoli».
E il segreto del rapporto?
«Che io e Andrea, fin da subito, capiamo di essere una cosa unica professionalmente, ma completamente diversi nella vita: lui juventino, io milanista; lui sposato, io scapolo; lui acqua con le bolle, io liscia; lui casalingo, io sempre fuori. In comune solo la passione per i gialli e l’whisky».
Come nascono, in quel periodo, gli sketch?
«Io mi occupo dello scheletro, Andrea mette i dettagli e i guizzi. E spesso improvvisiamo: le storie a volte me le invento e le scrivo sul biglietto della metro mentre andiamo a registrare “Drive In”».
Lei, nelle gag, fa spesso il mimo acustico. Come scopre questa abilità?
«Autogrill, una volta vediamo in vendita fumetti semi-porno e li prendiamo per curiosità: le azioni vengono raccontate con verbi interrotti tipo “Schizz schizz”. E mi viene l’idea di usare suoni che non esistono anche per le nostre esibizioni, così il treno, per noi, diventa “citum citum”».
Parliamo di Andrea: il suo più grande talento?
«Geniale, sorprendente, capace di farmi ridere in scena».
Un esempio?
«Spettacolo a teatro in cui rifacciamo delle pubblicità. C’è quella della mozzarella che lui deve portare alla bocca al rallentatore. Iniziamo a va troppo veloce. Io: “Ma no, più piano”. Rifacciamo ed è ancora uguale. La terza volta, invece, non finisce mai, si muove lentissimamente. Quando finalmente sta per mangiarla se ne esce con la battuta: “È buona, ma quando arriva alla bocca è scaduta”. Boato e anche io non riesco a stare serio».
Torniamo a “Drive In”. Dopo il grande successo mollate. Perché?
«La tv in quel momento a noi serve solo per permetterci di fare teatro, a noi piace il palco e il contatto col pubblico».
E andate in scena con a "Andy & Norman”, un grandissimo successo.
«Ma non è facile, ad ogni replica, prima di iniziare, dobbiamo spiegare che non vedranno Gaspare e Zuzzurro, ma Formicola e Brambilla».
Per la tv però, contemporaneamente, ideate un altro programma cult: “Emilio”.
«Berlusconi ci chiede di pensare a qualcosa che possa sostituire “Drive In” e decidiamo per una trasmissione completamente opposta. Che, però, non vogliamo condurre».
È un grande successo.
«Il cast è eccezionale: Athina Cenci, Silvio Orlando, Carlo Pistarino, Teo Teocoli, Gene Gnocchi, Giorgio Faletti».
Nino, la vostra brillante carriera ha una prima interruzione nel 2002.
«Andrea ha un grave incidente d’auto e resta in coma, ci fermiamo per sei mesi. Poi, però, torniamo con lo spettacolo “Che botta”».
Dieci anni dopo, invece, la malattia.
«A luglio 2002 Andrea ha qualche problema alla safena e fa dei controlli: è sano come un pesce. A gennaio gli viene la tosse e Buscemi, nostro assistente in quel periodo, gli consiglia di fare una lastra. Una sera, prima di entrare in scena, mi squilla il telefono. È Buscemi: “Sei seduto? Ho una brutta notizia da darti. Andrea ha un tumore ai polmoni, gli danno 6 mesi di vita”. E in quel momento...».
...se vuole cambiamo argomento.
«No, scusi ma mi commuovo ancora. In quel momento, mentre sono al telefono, Andrea, che non sa nulla, bussa al mio camerino: “Dai sbrigati che è tardi, sempre al telefono con delle donne”».
Quella sera andate comunque in scena?
«Sì e per me è un incubo».
Tra voi, in quei mesi, ne parlate della malattia?
«Mai, parliamo solo di nuovi progetti, lavoro. E poco prima di andarsene Andrea, pur sofferente e affaticato dalle cure, decide di recitare per l’ultima volta al Teatro Leonardo di Milano, a pochi metri dal centro tumori in cui è ricoverato. Organizziamo tutto, ci sono le locandine appese, ma poco prima della conferenza stampa di presentazione dello spettacolo lui ha una grave crisi. Così mi presento da solo. Nessuno, però, ha pensato di togliere la seconda sedia che resta vuota: un colpo al cuore».
Qualcuno del mondo dello spettacolo che le è stato particolarmente vicino dopo la morte di Andrea?
«Antonio Ricci, uno dei primi a chiamarmi e aiutarmi: “Riparti subito da solo, non aspettare”».
L’ha fatto?
«Sì, ma è stata dura debuttare un’altra volta a 60 anni: timore, cachet dimezzati, fatica».
Nino, ultime domande veloci. 1) Rapporto con la religione?
«Come con la scaramanzia: non è vero, ma ci credo».
2) Paura della morte?
«No».
3) Ha avuto molte donne?
«Non parlo della mia vita privata, ma se un giorno lo facessi ci sarebbe da divertirsi. E sorprendersi».
Un aneddoto senza fare nomi?
«Una donna molto potente una volta mi ha sbattuto al muro, ma ho detto no. E, professionalmente, ho pagato quel rifiuto a caro prezzo».
4) Qualcuno che vorrebbe riabbracciare?
«Faletti, uno dei pochi amici veri di questo ambiente».
Scusi, e Andrea non vorrebbe riabbracciarlo?
«Non ci siamo mai abbracciati, sembreremmo due pirla a farlo ora. Però so cosa gli chiederei se potessi incontrarlo».
Cosa?
«“Andrea, che facciamo ora? Tu hai qualche idea?”».
5) Una figuraccia indimenticabile?
«Roma, esco dall’hotel e c’è un’infinità di gente che inizia a urlare e applaudire. Io alzo le braccia, saluto e ringrazio. Poi mi accorgo che al balcone del primo piano si è appena affacciato Michael Jackson».
Ultimissima: a 72 anni ha un sogno?
«Tornare in tv come comico nuovo e sotto mentite spoglie».