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Giordano De Plano in 'Oscillazioni', la paternità imposta ad un anaffettivo

domenica 24 febbraio 2013

4' di lettura

Roma, 24 feb. (Adnkronos) - Una paternità imposta a chi, per giunta, non si è sentito neppure figlio può incendiare l'anima di rabbia. E prima che il fuoco la secchi del tutto, la spinge da un estremo all'altro come un pendolo che resiste ancora solo perché punta alla fine, al momento in cui tutto si fermerà per sua scelta. 'Oscillazioni' per l'appunto. Un titolo, quello dell'opera di Vitaliano Trevisan, che penetra l'intero monologo e l'interpretazione di Giordano De Plano che ha anche prodotto lo spettacolo per la regia di Giuseppe Marini, al Teatro Belli da due settimane e ancora in scena solo questo ultimo pomeriggio. "Non ha nome il protagonista del monologo di Trevisan e questo già dice molto. E' solo chiaro che la sua età si aggira sui 40 anni. Neppure emerge che tipo di lavoro faccia, sicuramente è un uomo intelligente, ma decisamente border line e profondamente solo", racconta all'Adnkronos De Plano che è tornato al teatro dopo un lungo periodo votato alla tv (è il poliziotto Sandro Pietrangeli nella serie televisiva 'Squadra antimafia - Palermo oggi') e al cinema ('Gente di Roma', regia di Ettore Scola; I demoni di San Pietroburgo diretto da Giuliano Montaldo e Good Morning, Aman, regia di Claudio Noce). Il suo è un ritorno desiderato, se pure ami anche il grande e il piccolo schermo, perché il teatro, spiega, "ha una sua pienezza emotiva, tempi lunghi che consentono di immergersi nei dettagli, di ascoltare a fondo, perché il teatro funge anche da catarsi. In questo spettacolo, per esempio, io interpreto un personaggio che non esiste ma che esiste comunque in quello spazio-tempo del palcoscenico e che, in un certo senso, potenzialmente esiste anche in me, in ognuno. Ecco, io dandogli voce e gesti, riesco ad esorcizzare, posso sublimare e così trasformare". Perché il protagonista di 'Oscillazioni' è un uomo che ha rifiutato di essere padre, abbandonando di conseguenza anche la donna che, 'tradendolo', ha ignorato volontariamente la sua scelta. E ora, nel giorno del sesto compleanno di questo bambino, è 'risvegliato' all'antico dolore da una telefonata in cui sua moglie gli chiede di festeggiare quella ricorrenza e conoscere il frutto del loro amore. Quel trillo riapre l'abisso che l'uomo senza nome aveva colmato a modo suo, almeno in apparenza. Nel silenzio della solitudine scelta con lucidità e portata avanti con cura in rapporti sessuali a pagamento, quella telefonata fa così rumore da condurre il protagonista ad un lucido dialogo con se stesso. Un dialogo in cui emerge la sua frattura interiore, il suo essere figlio senza sentirsi tale, la sua incapacità di vivere l'amore che tratta come un problema da dipanare, un'oscillazione appunto fra il troppo dare e l'anaffettività. Prima di accettare la proposta del regista Marini, con cui ha già lavorato tante volte, De Plano ha riflettuto per una settimana, leggendo l'intero testo, affinché potesse lasciare in lui un'impronta emotiva. Poi non ha avuto dubbi: "Conoscevo poco Trevisan come drammaturgo, ma mi ha letteralmente stregato la scrittura e l'urlo disperato del protagonista anche se io, personalmente, sono in una fase opposta della vita. Il personaggio di Trevisan, infatti, si sta uccidendo, è nella fase terminale di un malessere, è un uomo imprigionato in una paternità temuta prima e totalmente rifiutata poi, a tal punto da immaginare persino di porvi fine in modo estremo, anche se questo epilogo non è esplicitato. Il finale è senza dubbio aperto". E' un uomo, osserva ancora l'attore, che, a dispetto del suo cinismo, "non è indifferente" alle follie dell'oggi che anzi fotografa ripercorrendo, in brevi scatti, orrendi fatti di cronaca e dando alle strade della città di notte i nomi dei Paesi di provenienza delle prostitute. "Insomma - rileva ancora De Plano - non fa altro che raccontare quello c'è in giro e a cui in troppi si stanno abituando". Ma in questi 50 minuti di lucida follia in cui lo spettatore è tirato dentro la disperazione, dentro la solitudine, dentro il dolore di chi vive senza amore, c'è spazio per la trasformazione? "Sì, sgorga un attimo dopo, quando il sipario è ormai calato. Miei amici, che sono venuti a vedere lo spettacolo, mi hanno raccontato che, tornati a casa, sono stati presi da un amore ancora più forte per i loro figli, da un bisogno di esternarlo. E io, spente le luci, tornato a casa, mi sento leggero leggero" come se tutto il cinismo, la rabbia, il dolore fossero rimasti negli abiti di scena e "io fossi un uomo più libero dentro". Più libero e potente come chi vive d'amore.

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