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Indimenticabile Ayrton Senna: a 20 anni dalla morte, oltre la leggenda

di Giulio Bucchi domenica 4 maggio 2014

2' di lettura

Non ho vissuto l'epoca di Senna. Il primo ricordo che ho di una corsa di Formula1 è un "on board" di Schumacher: il cielo plumbeo, il turchese e il verde della sua Benetton, l'oscillazione del suo casco. Forse era proprio il 1994, forse no, sicuramente ero ancora molto piccola. Ho solo percezioni e sensazioni, immagini e pensieri, raccolti, raccontati e approfonditi negli anni, ma purtroppo indiretti, di un uomo tanto complesso quanto estremamente semplice, umile e generoso, sorridente eppure con gli occhi velati di inquietudine. Correva veloce e lontano, non scappava ma cercava, inseguiva una perfezione quasi irraggiungibile e una serenità sconosciuta. Si esaltava nella competizione, proprio perché lo spingeva al miglioramento, a una crescita personale e professionale. Amava la rincorsa e fondamentalmente aveva bisogno di essa, poiché lo proiettava avanti, gli consentiva di avvicinarsi a qualcosa che forse nemmeno aveva distinto. Era il migliore, aveva qualcosa di unico. Poteva contare su una forza esclusiva senza perdere tuttavia la sua normalità. Era una mosca bianca in uno sport ricco e talvolta ipocrita, che aveva bisogno di contornare di un'aura di sacralità per poterci sopravvivere. Dio e la fede erano fondamentali nella sua vita, in cui niente era mai abbastanza e allo stesso tempo troppo o immeritato. Si spiegano così reazioni e comportamenti in e fuori pista e la necessità di aiutare la propria gente, di fornirle opportunità e orgoglio. Senna, però, era anche altro. Era il ragazzo che guidava i kart e proteggeva il ricordo di quella esperienza come un tesoro. Erano due occhi trasparenti, capaci di illuminarsi e comunicare, e un sorriso dolce. Era una persona con profondo rispetto degli altri, timida e riflessiva, che si emozionava ed emozionava. Ayrton 20 anni fa moriva in una gara che non si doveva svolgere dopo la morte di Ratzenberger. Aveva corso tutta la vita alla ricerca di una completezza interiore, che mai raggiunse ma forse finalmente trovò, quando sdraiato sulla pista emesse il suo ultimo sospiro. Lasciando un vuoto incolmabile in coloro che lo conobbero e in chi avrebbe voluto averne la possibilità. di Giulia Volponi

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