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Matteo Berrettini e i segreti del sonno: lo studio che può cambiare tutto

di lorenzo pastuglia giovedì 1 settembre 2022

2' di lettura

Nel 2019, negli Usa, raggiunse per la prima volta la finale di uno Slam, ora Matteo Berrettini ci riprova sempre a New York, seppur mercoledì abbia faticato non poco a Flushing Meadows contro il francese Hugo Grenier, n.119 Atp, per un match chiuso in quattro set (2-6, 6-1, 7-6, 7-6). Venerdì intanto se la vedrà contro Andy Murray: “Ma sono uno che ragiona di volta in volta, anche se sono nella parte di tabellone dove hanno perso Cerundolo e Tsitsipas — ha esordito il romano a La Stampa — Se fossi un bookmaker? Non mi darei per favorito, ma nemmeno 20esimo”. In America non c’è il No-Vax Novak Djokovic: “Oggi è difficile pensare di impedire di giocare a qualcuno, però ci sono delle regole — ha detto ancora Berrettini — Non sarebbe giusto esentare qualcuno solo perché è famoso: sono le basi della democrazia. Detto questo a me come a tutti spiace che non ci sia Novak, con lui sarebbe stato un torneo più bello”.

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Berrettini e lo studio per migliorare il sonno (e le prestazioni)
Per migliorare nelle prestazioni, nei mesi scorsi ha iniziato a studiare i meccanismi del sonno con Jacopo Vitale del ‘Galeazzi' di Milano: “La pennichella aiuta, il problema è che magari a quell’ora devi giocare — ha detto ancora il numero 15 Atp a La Stampa —. Negli ultimi giorni ho provato a prendere il ritmo del match di primo turno, se devi giocare in notturna però ti sballa tutto. Sono studi interessanti, continuerò l’esperienza”. Il diario di viaggio continua sempre a scriverlo: “Non è una cosa sistematica, ma scrivere mi piace — prosegue —. A volte lo condivido con il mio mental coach Stefano Massari, altre lo tengo per me”. 

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Obiettivo Finals di Torino, sul rapporto con Sinner: “Buonissimo”
Un commento poi va alle sue partite sul cemento: “Partiamo dal presupposto che non c’è solo un cemento, ma 10 o 15 diversi — aggiunge il romano a La Stampa — Rispetto a Indian Wells o Miami, New York è un torneo completamente diverso. Rispetto all'erba, il ‘duro’ mi consente di variare direzioni ed altezze, quindi è più simile alla terra. Mi toglie invece un po’ di velocità, specie con il servizio. Nei momenti in cui sono aggressivo per gli altri è più facile difendersi”. L’obiettivo è entrare alle Finals di Torino a fine anno, seppur potrebbe essere dura: “Ci sono tornei per recuperare, vediamo come va”. Un pensiero, infine, sulla relazione con Jannik Sinner: “A Montreal siamo andati insieme a cena, abbiamo un buonissimo rapporto — ha concluso Matteo — Anche lui non ha avuto un’annata facile. Ci siamo detti che dopo gli US Open dobbiamo pensare bene alla Davis, con lo spirito giusto, perché sarà importante”.

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