Roberto Gagliardini commette cinque falli prima di essere espulso. Quattro di questi valevano l’ammonizione. Meritava due cartellini rossi, non uno. Di riflesso, Inzaghi ha sia ragione sia torto. Ha ragione nella sua ormai proverbiale strategia del cambio immediato dell’ammonito, per cui è stato a lungo criticato. Nel calcio di oggi, giocare anche solo mezz’ora in inferiorità numerica è decisivo. Dieci anni fa si poteva reggere, ora non più, l’equilibrio tattico è troppo sottile. Infatti sono sempre meno le squadre che finiscono in dieci uomini. Gli allenatori sfruttano le cinque sostituzioni per limitare i rischi ed è paradossale che il più attento in assoluto, Inzaghi, venga beffato dall’unica volta in cui non fa scattare il cambio. Il mister ha evitato la sostituzione nel primo tempo perché è stato giocatore e sa che viene sempre presa come un’offesa. Ma Gagliardini se l’era ampiamente meritata.
Il torto del mister nerazzurro, se ce n’è uno, non consiste nel mancato cambio ma nello schierare Gagliardini. L’ex Atalanta è ormai anche un ex Inter. È a scadenza, non verrà rinnovato il suo contratto e, di conseguenza, non costituisce un valore economico per la società. Mancava Mhkitaryan per infortunio, Asllani è stato finalmente utilizzato e Barella, Brozovic e Calhanoglu sono stati fatti ruotare o riposare in vista della finale di Coppa Italia, ma si poteva scegliere uno di questi ultimi due dall’inizio e eventualmente schierare Gagliardini nel finale di gara. È una mezza critica perché il problema vero resta a monte: avere giocatori - in questo caso uno dei sei centrocampisti per tre posti - inadatti ai massimi livelli. Non te ne puoi permettere più nemmeno uno, se vuoi competere in tutte le competizioni come sta facendo l’Inter. È l’ennesimo promemoria su come vanno costruite le rose nel calcio contemporaneo: più corte ma più equilibrate.