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Calcioscommesse, Demetrio Albertini: "I nuovi giocatori come aziende, ma senza basi"

di Fabrizio Biasin lunedì 16 ottobre 2023

4' di lettura

Demetrio (Albertini, enorme ex campione del nostro calcio, ora presidente del settore tecnico Figc) la situazione è allucinante. E parlo del nuovo caso scommesse, guarda un po’.
«Sì, lo è. E la colpa è dei ragazzi coinvolti, ovvio, ma anche nostra, di noi che facciamo parte del mondo del pallone».

E perché mai?
«Alla fine della mia generazione abbiamo vissuto il “vero”, calcio -scommesse quello dove addirittura si alteravano i risultati. Ora, dopo solo una manciata di anni, siamo tornati a vivere un problema che è diverso ma che evidentemente abbiamo sottovalutato».

Vuoi dire che in questi anni...
«...Si è fatto molto poco. Non c’è stata educazione al problema, non se n’è praticamente mai parlato».

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Insomma, si poteva evitare di fare la conta dei giovani calciatori che si mettono a scommettere. Sono usciti alcuni nomi e a quanto pare l’elenco è lungo...
«Io dico solo che abbiamo a che fare con una generazione di ragazzi impreparati, sono sommersi dagli input ma non hanno gli strumenti per gestirli e... cadono stupidamente in tentazione».

Così fai passare i ragazzi per ingenui.
«Non sto dicendo questo, dico che tra social, internet e altre “opportunità” le probabilità di sbagliare aumentano, soprattutto in mancanza di una vera e necessaria “educazione”. E te lo dico da padre di un ragazzo di 22 anni».

In effetti ai vostri tempi al massimo giocavate a carte...
«Neanche! A Milanello erano vietate. Al massimo biliardo o ping pong. Ma noi eravamo “semplici” calciatori, non avevamo la cosiddetta “finestra sul mondo”. Oggi è tutto diverso, noi parliamo di ragazzi ma non è così, lo sono solo anagraficamente».

E cosa sono?
«Vere e proprie aziende. Anzi, sono “aziende nelle aziende” mandate allo sbaraglio. Prova a pensare a cosa facevi tu a 20 anni, probabilmente studiavi, loro si ritrovano con una montagna di soldi, una marea di “lupi” attorno e non sanno nemmeno come si apre un conto in banca. Nessuno fa fare un percorso a questi giocatori per insegnare loro cosa vuole dire “essere professionista”. Una persona comune certi step li può fare a 25 anni, un calciatore non può perché è già a metà della carriera e se non ha seminato bene... rovina tutto».

Come si risolve ’sto delirio?
«Beh, intanto dovremmo iniziare a dirci le cose in faccia, e parlo anche di noi dirigenti. Basta pensare a soluzioni “post”, proviamo ad affrontare le cose “prima”. Siamo tutti responsabili, io compreso. Da noi si tende sempre a nascondere la polvere sotto il tappeto invece è arrivato il momento di tirare fuori tutto».

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Sei per punire i giocatori che verranno ritenuti responsabili di questo nuovo “casino”?
«Ci sono delle regole e delle sanzioni codificate. Detto che bisogna ancora appurare le responsabilità personali e non farsi prendere dalla voglia di colpevolizzare prima del tempo... stiamo parlando di cose serissime. Spero che i ragazzi coinvolti possano chiarire le loro posizioni e tornino presto in campo - guai a godere delle disgrazie altrui -, ma chi ha sbagliato pagherà come è giusto che sia».

Al netto dell’impreparazione, ti sei chiesto perché un ragazzo che ha tutto commetta “peccati” di questo genere?
«Banalmente, molti non sanno gestire la noia, è un problema comune che porta a inciampare in errori clamorosi. Non solo le scommesse, pensa anche ai social, ai post... Pubblicare un post in un modo o nell’altro dà un percepito completamente diverso della propria persona. I procuratori, gli agenti, i cosiddetti “entourage dei calciatori” sottovalutano queste cose che invece sono importantissime».

Ai tuoi tempi non ci si annoiava?
«Anche noi avevamo i nostri problemi e commettevamo errori, altroché. Ti racconto questa: a 18 anni sono nella Primavera del Milan ma Sacchi mi ha già fatto “assaggiare” la prima squadra. Non torno a casa da due mesi, sempre rinchiuso a Milanello. Un giorno finisco l’allenamento, mi cambio nello spogliatoio della Primavera e torno a casa, all’oratorio del mio paese. Avevo bisogno di vedere i miei amici. Alle 18 c’è la riunione tecnica, il giorno dopo c’è il derby, sono convocato e... Demetrio non c’è!».

Chissà Sacchi...
«Si è arrabbiato, mi ha lasciato in tribuna, ha detto “io non avrei mai perso l’occasione di vivere un derby”, ma io davvero non ce la facevo più».

Non è tutto oro...
«Ci sono tanti privilegi, ma bisogna saper gestire le proprie vite sportive. Da presidente del settore tecnico ho inserito dei corsi per aiutare i ragazzi, bisogna sempre ricordarsi che le loro carriere, se tutto va bene, durano “solo” 10 o 15 anni, non possono permettersi di sbagliare. Altrimenti rischiano di ritrovarsi coinvolti in scandali più grandi di loro». 

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