“Francesco Totti è, nel bene e nel male, l’esempio più estremo del mio modo di rapportarmi a un calciatore. Molti hanno sostenuto che sono stato io a far ritirare Totti. Falso. Il mito di Totti, la bandiera, erano aspetti che andavano gestiti dalla società, non da me. L’avevo chiesto con chiarezza al mio ritorno. Non mi si doveva mandare al massacro in quell’uno contro tutti”. Sono alcuni casi della biografia che Luciano Spalletti ha rilasciato, scritta da Giancarlo Dotto, e nella quale parla della sua carriera. Il nome dell’opera è Il paradiso esiste... Ma quanta fatica. L’attacco Spalletti lo ha riservato all’ex moglie del capitano della Roma, Ilary Blasi.
In questo caso, Spalletti si è detto fortunato di avere una compagna che non si è intromessa mai con la stessa "arroganza e maleducazione" nel suo ambito lavorativo. Poi chiarisce: “Può capitare, nel corso di una vita, di essere un piccolo uomo o una piccola donna — ha aggiunto il toscano — Certamente lo è stata lei quando si è permessa di rivolgersi a me in quel modo. Cosa della quale, immagino, si sarà pentita”.
E tornando a Totti: “Io ho sempre messo in campo la formazione con cui pensavo di vincere, né più né meno — si legge ancora — Ma la Sud a un certo punto si è schierata contro di me. Tutti i media hanno cavalcato la guerra contro Spalletti. Qualche copia in più in tempi di magra, li capisco. Eppure, la squadra era con me: se avessi fatto dei torti al loro capitano — considerato che in spogliatoio c’era gente di personalità del calibro di De Rossi, Strootman, Nainggolan, Seydou Keita, Maicon – i giocatori sarebbero certamente insorti a difesa di Francesco. Ma così non è stato”.
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E ancora: “A nulla è servito ribadire, nei mesi successivi, che non sono stato io ad allontanare Totti dalla Roma, ero disponibile ad assecondare qualunque sua scelta — ha aggiunto — Per rafforzare questo concetto e ‘liberare’ Totti dal ‘nemico’ Spalletti, ho detto pubblicamente che non avrei rinnovato il contratto con la Roma: mi sono dimesso anche per questo motivo, per evitare che mi fosse addossata una responsabilità che non avevo e che non era giusto darmi. La verità è che — giusto o sbagliato che fosse — il destino del numero 10 a Trigoria era segnato. Ma la verità, si sa, è solo di chi la vuole vedere”.
In quella situazione “abbiamo sbagliato tutti — prosegue il passo del libro — Ha sbagliato la società a non prendersi le proprie responsabilità e a lasciare che l’allenatore affrontasse da solo una vicenda così complicata, ho sbagliato io, come spesso mi succede, a non mettere qualche sfumatura in più in ciò che dicevo, ha sbagliato Francesco e credo — sono convinto — che, a distanza di tempo, l’abbia capito. Quando smetti di giocare a calcio, scopri di non essere più una divinità: all’inizio è crudele, ma poi, se non sei fatto di legno, questa consapevolezza ti fa diventare un uomo migliore, affina la sensibilità e la comprensione degli altri. Capita ai più grandi. È capitato anche a Francesco”.
Per Spalletti, Totti “è stato il capitano a cui mi sono dato di più — ha detto ancora — Amavo pensare che il mio destino di allenatore stesse nei piedi di questo gigante del nostro sport. Mi sentivo protetto dal suo enorme talento. Ho fatto cose per lui che non ho fatto per nessun altro. Francesco non può nemmeno immaginare quanto io abbia compreso le sue ragioni, le sue esitazioni, il suo dramma nel dover lasciare il calcio. Carne della sua carne. La sua carne era parte della Roma, lui era la Roma, anche la sua ruggine lucidava il metallo. Io, però, come responsabile chiamato per rigenerare un gruppo in difficoltà, dovevo pensare e agire diversamente. Il nostro è stato uno scontro non fra due persone, ma fra due prospettive opposte. Io dovevo pensare al bene della squadra. Lui, come tanti altri campioni prima e dopo di lui, non riusciva ad accettare che fosse messa la parola fine a quella storia grandiosa. Nasce qui l’incidente. E l’equivoco”.
Nel passo finale sull’ex capitano giallorosso, Spalletti svela un retroscena: “C’è una cosa che non gli ho mai detto, a Francesco, nemmeno il giorno in cui ci siamo riabbracciati al Bambin Gesù, e ne approfitto per dirgliela ora — ha concluso — Una notte, quando in città non si parlava d’altro che di noi, della nostra storia, ti ho sognato mentre mi venivi a dire queste parole: ‘Mister, ho capito di aver sbagliato con te. Ho capito che, in realtà, tu non mi stai penalizzando come pensavo ma, al contrario, stai facendo di tutto per allungarmi la carriera…’. Poi mi sono svegliato”.