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Enrico Varriale condannato: stalking e lesioni all'ex

venerdì 13 giugno 2025

3' di lettura

Stalking e lesioni: è stato condannato a 10 mesi con pena sospesa il giornalista di Raisport Enrico Varriale. Il 65enne storico conduttore di Stadio sprint era stato portato in tribunale dalla sua ex compagna e per lui il giudice monocratico ha disposto, una volta che la sentenza diventerà definitiva, un percorso che prevede la partecipazione a un percorso di recupero presso enti o associazioni rivolti a "uomini mal trattanti".

Il pm oggi in aula aveva chiesto una condanna a 2 anni. "In molte storie sentimentali capita che una delle due parti voglia terminare la storia e che l'altra parte invece non si rassegni, mettendo in atto comportamenti esasperanti, ed è ciò che abbiamo visto in questa vicenda", ha sottolineato il pm in aula sollecitando la richiesta di condanna. "La giustizia continua a stupirmi. Non avrei mai creduto che si potesse condannare per stalking una persona la cui unica colpa è avere mandato decine di messaggi alla ex compagna, al fine di incontrarla per chiarire e chiederle scusa. Leggerò le motivazioni e sicuramente proporrò appello" commenta l'avvocato Fabio Lattanzi, difensore di Varriale.

"Come responsabile dell'Ufficio Legale di Differenza Donna e avvocata della parte civile Rosaria Giuseppina Romeo, esprimo soddisfazione per la sentenza emessa oggi dalla IV Sezione Penale del Tribunale di Roma, che ha riconosciuto la responsabilità penale dell'imputato per il reato di atti persecutori e per l'aggressione fisica ai danni della mia assistita, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali", spiega invece in un comunicato Teresa Manente, responsabile dell'Ufficio legale di Differenza donna.

"La sentenza è il risultato di un lungo processo in cui la persona offesa ha trovato la forza di raccontare in aula, con lucidità e coerenza, il suo vissuto - spiega Manente -. Le sue dichiarazioni sono state puntualmente confermate da prove documentali, testimoni e accertamenti tecnici. Il Tribunale ha riconosciuto come l'imputato abbia reiteratamente violato il diritto della donna alla libertà e alla sicurezza, ignorando i suoi no, la sua paura, la sua volontà di chiudere la relazione e di non avere più con lui alcun rapporto. Questo processo è stato anche una denuncia pubblica contro la normalizzazione della violenza nelle relazioni intime. Nessun 'dispiacere', nessun preteso 'amore' può giustificare una relazione che si fonda sul controllo, sull'intimidazione, sull'umiliazione e sulla violenza. Le parole usate dall'imputato - "tr***a, mign***ta" - e le sue azioni - pedinamenti, minacce, aggressioni - parlano da sole e descrivono un modello di possesso che non ha nulla a che vedere con l'affettività". 

"La nostra assistita ha dovuto cambiare radicalmente le proprie abitudini di vita, si è rivolta a un centro antiviolenza per ricevere supporto psicologico, ha vissuto nel terrore quotidiano di essere seguita, aggredita, annientata. Grazie al coraggio della donna e all'efficacia dell'azione processuale, oggi possiamo dire che giustizia è stata fatta", prosegue il comunicato. "Questa sentenza - sottolinea Elisa Ercoli, Presidente dell'Associazione Differenza Donna - afferma con forza che la violenza maschile contro le donne non è mai un malinteso, né un eccesso d'amore. È un crimine, e come tale va trattato. Le parole, gli insulti, le aggressioni, il controllo, gli appostamenti: tutto ciò che le donne ci raccontano ogni giorno è finalmente entrato in un'aula di giustizia e ha trovato ascolto. È così che si riconosce la verità e la dignità delle donne".

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