Tre anni nel calcio sono un’eternità. Bastano e avanzano per passare da capitano di uno scudetto a disoccupato. Da simbolo di una vittoria romantica (trionfo con la squadra in cui si è cresciuti fin dalle giovanili) a emblema di una sconfitta professionale (ritrovarsi senza squadra a 28 anni, al teorico apice di una carriera). Questa è la strana storia di Davide Calabria, tre anni fa capitano del Milan tricolore, due mesi fa giocatore del Bologna che vinceva un’epica Coppa Italia e oggi disoccupato. Celta Vigo, Betis e Maiorca hanno chiesto informazioni, lo stesso ha fatto il Crystal Palace, ma non se ne è fatto nulla. Mentre si allena con un preparatore personale, Calabria spera nella Fiorentina del suo ex mister Pioli o nell’Atalanta che ha perso Bakker o addirittura nel Napoli che magari alla fine risparmia i soldi per Juanlu come vice Di Lorenzo. O in qualsiasi altro club della serie A, d’altronde qualcuno si ricorderà del terzino titolare della squadra campione d’Italia tre anni fa, no? E che il terzino preso per rimpiazzarlo (Emerson Royal, che pacco) si è rivelato di gran lunga più scarso?
Come sempre accade ai profeti in patria, il punto di rottura non va ricercato in campo ma fuori, nei rapporti con società e tifoseria. A un certo punto di Calabria non si parla più di carenze atletiche ma di problemi caratteriali. Le voci sul fatto che fosse "la talpa" nel Milan divampano. Molti prendono le parti di Conceiçao nel celebre alterco dello scorso gennaio al termine di Milan-Parma. Calabria ne esce nell’unica maniera possibile: addio anticipato. La cessione al Bologna è stranissima, non si è mai visto mandare in prestito un calciatore a sei mesi dalla scadenza del contratto e questo dimostra a che punto si è arrivati. Calabria è entusiasta, dice che «si respira la stessa alchimia dello scudetto del Milan», gioca 14’ in finale di Coppa Italia e alza la coppa in faccia alla sua amata ex. Sembra una rinascita e invece finisce addirittura peggio che a Milano. Nell’anonimato più totale. Non arriva alcuna proposta di contratto nonostante fosse un parametro zero con sei mesi di rodaggio già completati.
Calabria non è l’unico ex capitano che si sta allenando da solo. Anche Lorenzo Pellegrini è stato lasciato a Roma mentre il gruppo è in tournée in Inghilterra. La versione ufficiale è che deve entrare in condizione, ma c’è altro: un contratto in scadenza tra un anno e il reciproco rifiuto di parlarsi per rinnovarlo. D’altronde il rendimento dell’ormai ex capitano è decaduto e pesa a entrambe le parti: dagli oltre 3800’ in campo nel 2022/23 è passato ai 2126’ della scorsa stagione. Così i 4 milioni netti di stipendio, 6,5 lordi per la società, secondo ingaggio più alto dopo quello di Dybala, non sono più giustificati.
L’impressione è che la decisione di togliere la fascia da capitano a Pellegrini fosse già stata presa e che Gasperini e la società si siano inventati il modo più morbido per non farla pesare. È stato quindi cambiato il criterio di assegnazione, passando all’antichissimo “chi ha più presenze”, voce in cui, guarda caso, Pellegrini (316 gettoni) è terzo dietro a Cristante (318) ed El Shaarawy (320). Non è un segreto che la Roma abbia proposto Pellegrini alla Juventus in uno scambio con McKennie come lo scorso gennaio ci provò con l’Inter nei discorsi per Frattesi. È chiaramente un esubero anche perché Dybala, pur dovendo lavorare a parte, ha seguito il gruppo nella tournée inglese, e in quel ruolo il club sta cercando di prendere Echeverri. L’unica soluzione sembra essere la convivenza forzata per quest’ultimo anno e l’addio la prossima estate, quando Pellegrini avrà compiuto 30 anni. Ma che tristezza queste bandiere che, a un certo punto e in modo incredibilmente brusco, vengono ammainate.