Dal basket alle divise olimpiche. Con lui lo sport diventa fascino

Ha salvato dal crac l’Olimpia, squadra milanese di pallacanestro, e l’ha accompagnata nei trionfi, sempre tifando a bordo campo: fatica e competizione si affiancano allo stile
di Fabrizio Biasinvenerdì 5 settembre 2025
Dal basket alle divise olimpiche. Con lui lo sport diventa fascino

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Questo è un pezzo per raccontare quel che ha fatto Giorgio Armani per lo sport. Cose importanti e illuminate. Ma prima un inciso. Quando muori sei sempre più bello. Più buono. Più bravo. E la cosa dura fino a quando muore qualcun altro che in un attimo diventa più bello. Più buono. Più bravo. E pensiona quello precedente. Il problema è che tu, ormai all’altro mondo, non ti godi la celebrazione perché, appunto, sei all’altro mondo. Questa cosa tra l’altro capita generalmente solo ai vip, sfruttati alla grandissima da noi che ancora respiriamo per raccattare consenso alla faccia del trapassato. E allora il selfie col morto («qui è quando mi aveva invitato a Monte Carlo...»). L’aneddoto col morto («Quante risate quella sera...»). La confidenza sul morto («mi stimava molto...»). Il post social di dubbio gusto sul morto («Rip. E salutaci Fiorucci»). L’articolo pomposo sul morto (tipo questo). E il conseguente e imbarazzante svilimento del morto.

SCARPETTE ROSSE Nelle prossime e perdibilissime righe non proveremo a convincervi su quando fosse bello/buono/bravo Giorgio Armani (ne sappiamo quanto voi), ma su quanto sia stato “grande” nel voler dedicare spazio, tempo e grano (tanto) a una delle sue grandi passioni: lo sport appunto. «Facile, era ricco come Paperone», direte voi. E invece no, è tutta una questione di priorità. Giorgio Armani a un bel punto della sua vita ha deciso di buttarsi nel basket, anzi sul parquet, quello della gloriosa Olimpia Milano, e non l’ha fatto con la tracotanza tipica dell’imprenditore che sfrutta il pallone per farsi bello- non ne aveva bisogno- ma solo per coltivare la sua passione. 

E infatti per anni e anni lo abbiamo visto lì, a bordo campo, in prima fila al Forum di Assago con l’immancabile maglietta nera, quella che se la mettiamo io e te facciamo la figura dei tamarri da quattro soldi, ma indossata da lui diventa altissima moda. Potere massimo di “chi può”. Lui poteva. E non ostentava.
Dal 2004 è sponsor delle Scarpette Rosse (con il marchio “Armani Jeans” salva il club dal tracollo), dal 2008 diventa proprietario dopo aver rilevato tutto il cucuzzaro. Proprio nel 2004 crea la linea EA7, mossa intelligente per dare una svolta all’azienda e uscire dall’equazione “capo Armani = Capo per pochissimi”. Unisce funzionalità tecnica e gusto raffinato con questo che no, non vuole essere un semplice brand di abbigliamento sportivo, ma un progetto culturale capace di trasferire i valori della “Casa” - disciplina, sobrietà, ricerca del dettaglio- in capi destinati a palestra, running e lifestyle. E il 7 non è scelto a caso ma rimanda ad Andriy Shevchenko, all’epoca fuoriclasse del Milan e grande amico personale dello stilista. E allora Giorgio si gode la sua Olimpia (iconica la canotta numero 19 con marchio AJ indossata dallo stesso Armani al Forum per la finale scudetto del 2005) e vince molto: 6 scudetti (2014, 2016, 2018, 2022, 2023 e 2024), 4 Coppe Italia (2016, 2017, 2021, 2022), 4 Supercoppe Italiane (2016, 2018, 2020, 2022). Quando conquista il suo primo tricolore ventiseiesimo per l’Olimpia - Armani si scioglie: «È una delle emozioni più grandi della mia vita».
In contemporanea sostiene con i fatti tutto lo sport italiano. Disegna le uniformi per il Coni e per la nazionale azzurra in tutte le edizioni olimpiche e paralimpiche a partire da Londra 2012, con outfit unici e cerimonie inaugurali che fanno sbavare il resto del pianeta: «Guarda gli italiani in uniforme Armani: che stile». Perché sì, è così: lo conoscevano tutti e in tutto il mondo. Nel 2006 partecipa come tedoforo alla Staffetta della Torcia Olimpica dei Giochi di Torino e lo capisci che lo fa con il solo scopo di elevare l’idea di sport: non più solo sudore, fatica e competizione, ma anche strumento per veicolare estetica, impegno, fascino e, ovviamente, Made in Italy.

PURE MOURINHO Il calcio non era la sua passione più grande, ma i protagonisti del pallone se lo sono palleggiato alla grande. Prima ha vestito la squadra della sua città, il Piacenza, poi molte altre: l’Inghilterra ai Mondiali 2006, il Napoli dal 2021, il Chelsea e persino Mourinho che «non sono un pirla» e infatti per la sua immagine ha scelto il meglio. Grazie a Giorgio le squadre che passano per stazioni e aeroporti non le distingui più per le orrende tutone a culo basso, ma diventano vettori di eleganza. Di recente anche la Ferrari ha scelto di inzuppare il biscotto nell’universo Armani, coni piloti griffati di tutto punto. Ecco, sì, se oggi gli atleti non sono solo “risultati” ma anche brand, testimonial e “vetrine viventi” il merito è soprattutto di chi, a suo tempo, ha capito per primo che non solo l’abito fa il monaco, ma anche tutto il monastero.