«Non sono scemo». A pronunciare la nuova versione dell’antico adagio mouriniano non poteva che essere un giocatore del triplete, ora allenatore dell’Inter. La parafrasi è di Cristian Chivu che no, non è affatto scemo. E non è nemmeno l’aziendalista che molti credono sia. È semplicemente un allenatore che, con pragmatismo e intelligenza, e dopo aver usato il Mondiale per Club per provare qualcosa di diverso, ha intrapreso quella che ritiene l’unica strada possibile per ottenere risultati: evolvere l’Inter per gradi, non stravolgerla per far valere il proprio grado.
Fa sorridere che gli si chieda una rivoluzione immediata senza considerare due fattori evidenti: primo, non ha abbastanza materiale per farla; secondo, non avrà mai il tempo per smontare e rimontare una macchina complessa. Era già sulla graticola dopo due sconfitte, lo è - secondo diversi addetti ai lavori- pure dopo le due vittorie consecutive con Ajax e Sassuolo che ora gli permettono di preparare con più serenità la trasferta di Cagliari (alle 20.45, diretta Dazn e Sky Sport) e la successiva, apparentemente morbida, sfida casalinga di Champions con lo Slavia Praga.
SCRUTINIO PERENNE
E qui, in questo clima di perenne scrutinio, si inserisce l’episodio che forse, più di ogni conferenza (ieri annullata per via della laurea al presidente Marotta), ci ha svelato il vero Chivu. Il video “rubato” durante l’allenamento di mercoledì è un manifesto. Di fronte a qualche commento di troppo da parte di alcuni ospiti (Lautaro invitato a segnare in partita piuttosto che in allenamento), il tecnico ha perso la sua proverbiale calma.
Ha difeso i suoi giocatori («Rispettate chi sta lavorando»), ha invitato i critici ad «andare a Milanello» e ha chiuso con un’imprecazione per rimarcare la spontaneità dello sfogo. Ecco il punto: il Chivu pacato e intellettuale dei microfoni, quello che offre un’intelligenza sopra la media a un pubblico che spesso la scambia per debolezza come se avere cervello escludesse gli attributi- è lo stesso che difende d’istinto e di rabbia il lavoro sul campo. Lavoro sul campo, proprio quello che molti pensano non faccia perché in campo l’Inter va ancora con il 3-5-2.
Se questo è uno scemo, allora ne vorremmo il mondo pieno. Perché con Chivu, l’apparenza inganna. Inganna che il suo 3-5-2 sia identico a quello del suo predecessore: lo è nella forma, non lo è già più nella sostanza. Chi osserva con attenzione avrà notato un pressing più alto, una costruzione più diretta e una ritrovata vicinanza tra le due punte.
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Gli hanno affibbiato l’etichetta di “traghettatore” quando è l’esatto contrario: un allenatore giovane che bisogna far maturare. Con le dovute proporzioni, perché di panchine in A ne aveva di più, è la stessa identica cosa accaduta con Inzaghi. La differenza è che Chivu è un prodotto del vivaio che l’Inter, come ha più volte spiegato Marotta, espone con orgoglio, come quel Pio Esposito che sta facendo giocare con coraggio e che stasera darà vita all’inedito derby in famiglia contro il fratello Sebastiano.
Nei minuti finali, però, perché l'intenzione di Chivu è restaurare la coppia Lautaro-Thuram (Bonny candidato titolare in Champions) e non solo: Darmian è favorito a destra per far rifiatare Dumfries, pur avendo visto un ottimo Luis Henrique nello spezzone con il Sassuolo, e Mkhitaryan è destinato a riprendersi il posto in mezzo così come Sommer tra i pali. Il solo Akanji è una novità nel nuovo-vecchio undici di base, ma per la velocità con cui si è inserito pare essere nerazzurro da anni quindi sembra tutto come prima. Anche qui, però, l’apparenza inganna. Il modo di gestire il turnover è cambiato.
Ora è molto meno scientifico. Chivu valuta le rotazioni di volta in volta a seconda della condizione, dei nuovi da inserire che hanno bisogno di certezze come contrappeso e delle risposte del campo. La conferma di Esposito dopo l’Ajax ne è la prova. È un’Inter che, sotto una veste nota, nasconde un’anima nuova. Quella del suo allenatore che, no, scemo non è per niente.