L’arrivo quasi furtivo, le visite mediche di rito, la firma su un contratto che è insieme un’opportunità e un rischio. Il primo giorno di Luciano Spalletti alla Continassa è una centrifuga. Oggi allenerà per la prima volta la squadra (ieri lo ha fatto Brambilla) e parlerà in una conferenza che è sia di presentazione sia di vigilia, ma l’auspicio è che sia laconico. Meno parole (rispetto a quelle pronunciate nell’ultima, fallimentare esperienza in Nazionale), più campo (rispetto a quello che aveva a disposizione da ct). Il tempo è un lusso che non ha, l’esordio in casa della Cremonese di Nicola alleggerita dagli ottimi risultati incombe già domani sera.
Il rinnovo biennale scatterà in automatico solo con la qualificazione in Champions (intanto guadagnerà 3 milioni per 8 mesi) e che un tecnico del calibro di Spalletti, con uno scudetto tatuato sulla pelle, accetti una simile scommessa al buio la dice lunga sulla ferocia del suo desiderio. Luciano ha qualcosa da perdere e si assume rischi direttamente proporzionali ai rebus che è chiamato a risolvere. Il primo di questi rebus è ambientale. Dovrà piacere, e subito, a un popolo che lo vede come un nemico storico, l’uomo di Roma, Inter e soprattutto del Napoli campione. E dovrà farlo mentre quello stesso popolo guarda con crescente nervosismo l’operato della dirigenza che lo ha scelto, rendendolo parafulmine di un malcontento più ampio.
PRIMO TEST 
Il secondo è una questione di gerarchia. Che fare con Locatelli? Capitano designato ma di recente epurato senza troppi complimenti dal suo gruppo azzurro. Usare la diplomazia per ricucire uno strappo e non destabilizzare lo spogliatoio o l’atto di forza, la scelta di un nuovo capitano “di pugno”, come fece con Di Lorenzo a Napoli, per stabilire da subito chi comanda? Questo sarà il primo test al suo approccio. Il terzo rebus è un vuoto da colmare. Questa Juventus è una squadra senza grandi personalità. Dunque, che fare, colmare questo buco con la sua personalità esuberante oppure entrare in modo più soft? Al netto del fatto che non ha tempo né margine di errore, perché se sbaglia questi 8 mesi non sarà più allenatore della Juventus e forse, chissà, uscirà dal giro delle top.
Il quarto è un rompicapo tattico.
Come mettere in campo una rosa sgangherata senza averla potuta allenare? Il dilemma più grande è l’attacco. Giocare con due punte, sacrificandone solo una tra Vlahovic, David e Openda, sarebbe una novità per uno che ha costruito le sue fortune esaltando il centravanti unico, da Totti a Osimhen, passando per Dzeko e Icardi. Ma insistere con una punta sola significherebbe uno sperpero di talento offensivo. E poi, difesa a tre o a quattro? Centrocampo a due o a tre? Yildiz trequartista o esterno, tornando al problema della punta solitaria? Scelte da fare in poche ore, non in settimane. L’ultima, e più insidiosa, è la sfida contro sé stesso. Spalletti arriva a Torino covando una rabbia e una voglia di rivalsa che ribollono. Un motore potentissimo, ma che deve saper maneggiare con cura per non farlo esplodere. Il rischio di strafare, di voler dimostrare tutto e subito, di esagerare nei toni e nei modi, c’è. Luciano dovrà essere il primo a tenere a bada Luciano, altrimenti il suo più grande avversario non sarà il calendario o la diffidenza della piazza, ma l’uomo che vede riflesso nello specchio.