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Napolitano irritato dal Pdl. Ora due ipotesi: governo di scopo o dimissioni

Il presidente ha accolto con stupore la "minaccia" dei parlamentari di Berlusconi. Il Colle studia le contromosse: ecco tutti i pericoli

Giulio Bucchi
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Spiazzato, infastidito, irritato. Giorgio Napolitano ha accolto con sorpresa (negativa) l'annuncio che i parlamentari Pdl si dimetteranno non appena si voterà (in Giunta, o in Senato) la decadenza di Silvio Berlusconi. "Un fatto politico improvviso e istituzionalmente inquietante" lo ha definito, tanto da dedicargli "tutta la mia attenzione''. Di fatto, un altro ultimatum al governo di Enrico Letta pochi giorni dopo la richiesta del Colle di "procedere senza incertezze e rotture" lungo la strada della ripresa economica. E ora Napolitano, di fronte alla linea dura del Cavaliere, starebbe meditando azioni clamorose: per esempio, le dimissioni. Le sue. L'ipotesi dimissioni - Il Quirinale, scrive Tommaso Montesano su Libero in edicola oggi, giovedì 26 settembre, avrebbe interpretato l'accelerazione del Pdl come una pressione, se non addirittura una minaccia, per indurlo ad assumere un atteggiamento diverso sul caso Berlusconi, magari in direzione di un provvedimento di clemenza o commutazione della pena da concedere motu proprio. Napolitano sta seguendo con comprensibile apprensione gli sviluppi della situazione politica. Appena due giorni fa il presidente della Repubblica aveva colto segnali di distensione bipartisan al termine dei colloqui avuti sul Colle con i leader di Pd e Pdl, Guglielmo Epifani e Angelino Alfano, e con il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini. Ma ora tutto pare cambiato, di nuovo. Le due incognite - Le dimissioni di Napolitano, naturalmente, sarebbero l'ultima risorsa perché, al di là di complicare uno scacchiere già drammaticamente confuso, getterebbero l'Italia in un vortice di insicurezza con evidenti ripercussioni sul piano internazionale. L'alternativa, allora, potrebbe essere lavorare per un "governo di scopo" che guidi il Paese alle elezioni anticipate tra febbraio e marzo, dopo aver messo a punto la riforma elettorale. Restano però due incognite, sottolinea Fausto Carioti sempre su Libero: intanto bisognerà vedere se il voto di metà ottobre che si terrà a scrutinio segreto nell'aula del Senato (difficile che le dimissioni siano davvero date il 4 ottobre, dopo il giudizio della giunta) sancirà la decadenza di Berlusconi dal Parlamento. Voto quasi scontato (Pd, grillini e vendoliani, favorevoli, arrivano a quota 165, la maggioranza è di 161) a meno che il pressing del Pdl non susciti qualche timore (di fine legislatura) ai più incerti. Il secondo dubbio riguarda proprio le reali intenzioni degli azzurri e del loro leader: sono davvero disposti ad andare sino in fondo, abbandonando lo scranno per ottenere lo scioglimento delle Camere? 

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