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Mafia: ex pentito Scarantino, 'Andriotta era una microspia umana, uno spione'

di AdnKronos domenica 19 maggio 2019

2' di lettura

Caltanissetta, 16 mag. (AdnKronos) - Il falso pentito Francesco Andriotta "era una microspia umana, uno spione e uno sbirro". A dirlo in aula, proseguendo la sua deposizione in aula al processo sul depistaggio sulle indagini della strage di Via D'Amelio è l'ex pentito Vincenzo Scarantino. Francesco Andriotta è il 'falso pentito' che è stato condannato per calunnia nel processo Borsellino quater. Quando il procuratore aggiunto Gabriele Paci chiede a Scarantino, coperto da un paravento bianco per non essere visto, se, in carcere, a Busto Arsizio, nel 1993, commentava con Andriotta i fatti di cronaca o se ascoltava Radio Radicale, Scarantino risponde: "Andriotta era un bugiardo. Io parlavo solo con la guardia carceraria, con Andriotta non parlavo. Non mi piaceva. Si vedeva che era una microspia umana, era uno sbirro e uno spione che hanno messo apposta lì per me". Andriotta è stato sentito nel febbraio scorso nel processo in corso davanti al tribunale di Caltanissetta e, in quella occasione, aveva ripetuto ai pm che lo interrogavano quanto detto in passato su Vincenzo Scarantino. Andriotta aveva raccontato le indicazioni sulle dichiarazioni da fare per "incastrare" Vincenzo Scarantino prima degli interrogatori. In aula era tornato ad accusare l’ex capo della mobile poi questore di Palermo, Arnaldo La Barbera, morto nel 2002, ma anche Vincenzo Ricciardi, già questore di Novara, oggi è in pensione, Mario Bo, oggi imputato nel processo, e Salvatore La Barbera. Sarebbero stati loro, secondo l'ex pentito, ad averlo preparato a mentire su Scarantino e sul furto della 126. "Non era Scarantino a dirmi i fatti ma sono stati questi poliziotti che mi hanno fatto accusare persone innocenti facendomi credere che erano colpevoli - aveva detto in aula Andriotta- Questo non voglio più farlo. Mi dispiace e chiedo perdono!". Tutto ebbe inizio nel 1993 nel carcere di Busto Arsizio: "Incontrai Arnaldo La Barbera e Ricciardi, che mi diede anche uno scappellotto perché in un primo momento io non volevo accettare quella cosa e mi disse di 'ascoltare il dottor La Barbera, che è una persona che può aiutare'. La Barbera mi disse che se davo una mano mi avrebbe aiutato a risolvere la problematica della mia condanna all'ergastolo; che c'erano persone colpevoli anche se non avevano prove per inchiodarli. Mi disse che mi avrebbe fatto ottenere la detenzione domiciliare, il programma di protezione. Io ero in difficoltà in quel periodo". Il teste a febbraio aveva riferito di aver ricevuto, prima degli interrogatori con i pm, dei fogli dattiloscritti a macchina ma anche scritti a mano, con le indicazioni delle dichiarazioni da dire. "Li dovevo studiare a memoria - aveva detto il teste - per poi raccontare ai magistrati della Dda che ai tempi erano la dottoressa Ilda Boccassini e il dottor Fausto Cardella. Già a Busto Arsizio ma anche nell'aula bunker di Rebibbia prima del processo mi diedero carte". Nel corso della deposizione diverse ci sono state diverse contestazioni da parte del pm Stefano Luciani.

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