Alfie e io (Adelphi, 512 pagg., 32 10 euro) è uno dei libri più belli, avvincenti e romanzeschi che abbia letto negli ultimi anni. Non è un romanzo, ma la storia del rapporto di vero affetto e cura e protezione tra l’autore, il biologo Carl Safina, e un assiolo. Non sapere cosa sia esattamente un assiolo aiuta molto, perché la strategia di Safina non è quella scolastica di parlare di un animale come un oggetto di studio, ma come un compagno di vita, descrivendone a poco a poco tutte le caratteristiche che, si badi bene, non sono affatto quelle descritte aridamente nei “manuali dei rapaci”.
Cioè Alfie non è un “esemplare della sua specie” (Megascops asio), nella narrazione di Safina che lo coinvolge nelle vicissitudini del lockdown per il Covid-19, nel suo ménage matrimoniale e nell’addio a un parente malato terminale, ma è un individuo con le sue peculiari idiosincrasie, fisime, predilezioni come lo siamo noi individui della specie homo. Ed è una femmina, quindi assisteremo con partecipazione sia al suo salvataggio dopo la caduta dal nido forse attaccato da qualche predatore, che al momento in cui, trovatosi un partner di suo gradimento, battezzato semplicemente Plus One, Più Uno, metterà al mondo la nidiata.
La tesi di Safina, discutibile ma affascinante, è che la vita è una, intrecciata e solo apparentemente suddivisa in specie. E che il concetto di soggettività (se non proprio di coscienza in senso stretto) non è una prerogativa umana: anche un assiolo ha il suo fascio di percezioni, e notevolmente più sensibile del nostro se solo si pensa alle sue facoltà visive e uditive. Senza trascendere nel new age, Safina riesce a farci sentire il volo di Alfie dal suo punto di vista.