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Manovra, Giancarlo Giorgetti e la trattativa con l'Europa: come salvare le banche?

di Cristina Agostini domenica 28 ottobre 2018

2' di lettura

Un filo diretto con il presidente della Bce Mario Draghi e quindi con l'Europa c'è. Giancarlo Giorgetti, il leghista bocconiano ora sottosegretario alla presidenza del Consiglio, fa parte insieme al ministro dell'Economia Giovanni Tria del partito dei responsabili, gli antri spread dell'esecutivo. Che può contare anche su un altro sottosegretario leghista, Massimo Garavaglia (Tesoro), e sul grillino Stefano Buffagni (Agffari regionali) oltre che al ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Un partito di cui di fatto è iscritto anche Giuseppe Conte, che giorni fa ha cercato un dialogo con il presidente della Commissione Jean Claude Juncker e con la cancelliera Angela Merkel. E che ieri in un colloquio con Repubblica ha ammesso per la prima volta che "se lo spread resta alto diventa un problema".   Leggi anche: Sondaggio-incubo per il governo: la cifra mai vista prima Così la notte scorsa dopo il Consiglio dei ministri il premier Conte ha chiamato di nuovo attorno al suo tavolo Matteo Salvini e Luigi Di Maio. I due vicepremier non hanno mollato sulla manovra - che "non si cambia" - ma si sono detti preoccupati per la tenuta del sistema bancario. Giorgetti li ha avvertiti anche dal salotto di Porta a Porta: se lo spread tocca quota 400 bisognerà ricapitalizzare gli istituti in difficoltà. A spese dello Stato. E Tria lo ha ribadito: uno spread a 320 non è sostenibile a lungo. La prospettiva della ricapitalizzazione delle banche deve aver colpito Salvini che ha poi dichiarato che "se qualche impresa o qualche banca avrà bisogno, noi ci siamo". La domanda è: con quali soldi? Basta non toccare Fornero e reddito di cittadinanza, hanno ordinato i due vicepremier. E così in queste ore Tria e Giorgetti stanno valutando una doppia strada. Utilizzare il tesoretto di Paolo Gentiloni, ovvero il fondo stanziato dal decreto salva-banche: 15 miliardi di euro che però potrebbero non essere sufficienti. Oppure, seconda via, potenziare il fondo interbancario a tutela dei depositi, per evitare il cosiddetto "bank run".  

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