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Usa-Ue, un'alleanza per non essere superati dai Paesi del Brics

Trump ha cominciato ad ammonire Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica sulle mosse che intendono fare contro il dollaro. E più in generale contro l’Occidente
di Bruno Villois mercoledì 9 luglio 2025

3' di lettura

Finalmente un Capo di Stato Occidentale, o meglio il numero uno del globo, Donald Trump, ha cominciato ad ammonire i Brics sulle mosse che intendono fare contro il dollaro. E più in generale contro l’Occidente, mentre i vertici comunitari restano accucciati, pur sapendo quanto sia necessaria una medesima politica protettiva dell’euro. I rischi di un Brics forte e con il controllo dei commerci propri, ma anche dei Paesi a cui fornire materie prime e manufatti, va a fortificare l’idea di un nuovo ordine mondiale, preconizzato da Putin, che ha come riferimento i Brics, acronimo dei fondatori Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. La nascita del Nuovo Banco di Sviluppo Brics, un’istituzione finanziaria che fornisce finanziamenti a progetti di sviluppo sostenibile nei paesi membri, ne è un chiaro esempio. I membri del Brics sono accomunati da alcune caratteristiche comuni, quali la condizione di economie in via di sviluppo, una popolazione numerosa, un vasto territorio, abbondanti risorse naturali, e già oggi un incidenza sulla composizione del Pil mondiale che si avvicina al 40%, come previsione di sfondare il 50% entro la fine del decennio.

Da inizio anno sei nuovi Paesi: Iran, Egitto, Indonesia, Emirati Arabi ed Etiopia si sono uniti al gruppo dei fondatori. Un chiaro primo passaggio di una specie di “Big Bang” che aspira a cambiare gli equilibri geoeconomici del mondo, puntando alla realizzazione di una valuta unica dei Brics, nota come R5, dalle iniziali delle 5 valute che la compongono. Il tentativo di ridurre il peso nel commercio mondiale del dollaro, ma pure dell’euro, è dietro l’angolo, così come lo è l’idea di costruire una piazza finanziaria che raccolga le innumerevoli imprese dei Brics per limitare lo strapotere di Dow Jones e Nasdaq.

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La spinta autoimpostasi dai Paesi di Eurolandia, allargati allo Uk, di puntare sul “modello green”, motoristico e immobiliare, non trova alcun riscontro positivo nei Paesi Brics, che, anzi, puntano a spingere sull’acceleratore dei carburanti fossili. Non a caso tra gli ultimi ingressi del 2024 ci sono alcuni tra i maggiori produttori di petrolio e gas e sono molte altre decine le Nazioni, sempre emergenti e dotate di grandi potenzialità di sviluppo grazie al possesso delle materie prime naturali, che stanno dichiarando la loro disponibilità ad aderire al circuito. C’è un rischio di accerchiamento sull’Europa, lasciandola da sola a sobbarcarsi gli enormi costi che sta imponendo ed imporrà “la trasformazione green” per ridurre l’inquinamento globale, a cui i Paesi Brics sono poco interessati.

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Cina e dintorni sfornano, più per l’Europa che per loro, già oggi, a prezzi iper competitivi, auto elettriche e componentistica in percentuale tripla o quadrupla di quelle Ue, condizione che danneggia le produzioni continentali, soppiantate da quelle cinesi e coreane oggi, un domani anche da quelle di altre nazioni Brics. Urge un progetto Usa-Ue, in cui a primeggiare siano gli investimenti in innovazione tecnologica, cosa già ai massimi livelli nella patria di Washington, mentre difettano in Eurolandia. Obiettivo primario deve essere quello di salvaguardare le molteplici nicchie di produzioni nelle quali i singoli Paesi Ue primeggiano a livello mondiale. Altrettanto fondamentale è far squadra tra Eurolandia, evitando pure rotture con gli Usa e livellando i dazi sui valori attuali di import-export.

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