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Crisi Cina, Romano Prodi: "Serve una conferenza mondiale ma non si farà. L'Europa? Spero non serva un'altra guerra mondiale..."

di Giulio Bucchi domenica 30 agosto 2015

3' di lettura

"Serve una conferenza mondiale, chiamiamola nuova Bretton Woods o come ci pare. Sicuramente è desiderabile, ma non credo sia realistica, probabile. Io dico di fare attenzione, perché se non c'è una risposta economica coordinata si rischia una deflazione globale". Il quadro, al limite del drammatico, lo disegna Romano Prodi, ex premier e presidente della Commissione Europea negli ultimi anni molto vicino alle cose di Cina e Oriente. E proprio la Cina, avverte il Professore, rischia di essere la miccia di un disastro globale: "La crisi del 2008 è stata provocata dagli Stati Uniti, la prossima potrebbe venire dalla Cina. Il che paradossalmente vuol dire che Pechino è protagonista nel mondo. Noi europei non siamo nemmeno capaci di provocare le crisi. Ci limitiamo a subirle e a prolungarle facendoci del male da soli". Cosa deve fare Pechino - Intervistato dal Messaggero, Prodi analizza i motivi dello sboom, finanziario ma soprattutto economico e produttivo, della Cina. "Il mercato cinese era cresciuto del 150% in un anno: se si sgonfia un po' non c'è niente di male", va un po' controtendenza l'ex premier, secondo cui i problemi veri del Dragone sono tutti nell'economia reale. "Il passaggio da un'economia basata su export e investimenti ad una alimentata dai consumi interni si sta rivelando più complicato del previsto. Sono in affanno i Paesi in cui la Cina esportava ed, all'interno, sono aumentati i costi: un saldatore che qualche anno fa a Shanghai costava 150 dollari al mese oggi ne costa 800. Poi c'è lo yuan che nel corso dell'anno si era rivalutato di oltre il 15% rispetto alla media delle valute dei paesi con cui la Cina commercia". L'iniezione di liquidità decisa da Pechino, sorta di quantitative easing alla cinese, non basta: "Restano da fare tutte le grandi cose per le quali servirà però più tempo: risanare i bilanci delle imprese pubbliche e delle province, riformare il sistema bancario, regolare la bolla immobiliare. Certo difficilmente si riuscirà a mantenere la crescita del 7% di cui si è parlato". Contesto negativo - Per assorbire lo choc di una frenata della locomotiva cinese servirebbe un contesto esterno favorevole, che non c'è. "In America c'è meno euforia rispetto a un po' di tempo fa, Paesi emergenti come Brasile e Russia sono in forte difficoltà, mentre in Europa c'è ancora una ripresa miserevole". E ancora: "Se la crisi cinese dura nel tempo le già stentate prospettive di crescita dell'Europa sono destinate a ridursi. Mi pare inevitabile. Per la Germania l'export verso Pechino raggiunge il 6,5-7% del totale, per noi italiani solo il 2,5, anche se con una forte presenza di alcuni settori. Ma se si esportano meno auto tedesche sono penalizzate anche le imprese del nostro Paese che fanno i componenti. Tutto è legato". L'Europa, la Grecia, la guerra - A un problema globale servirebbe una soluzione globale: "Non mi pare che l'Europa sia in grado di organizzarla, non so se gli Stati Uniti la vogliano davvero. Certo non aiutano le tensioni con la Russia e quelle che vi sono anche tra gli Usa e la stessa Cina. Però non si può lasciare fuori dal tavolo delle decisioni un giocatore così importante. Questa situazione di tensione danneggia tutti, impedisce di trovare soluzioni anche a problemi come il terrorismo dell'Isis, che potrebbe essere battuto se ognuno collaborasse". E tra Grecia, Isis ed emergenza immigrazione, ad uscire con le ossa rotte sarà l'Europa: "Noi europei abbiamo fatto un grande passo in avanti dopo una tragedia come il secondo conflitto mondiale. Speriamo che non serva un evento così disastroso per suscitare qualche politico profetico come i De Gasperi e gli Adenauer e spingerci verso una maggiore saggezza".

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