Perché Matteo Zuppi va allo scontro col governo proprio ora, mentre Giorgia Meloni cerca di creare un rapporto di fiducia col nuovo papa e si vedono i primi segni di riavvicinamento alla Chiesa di tanti cattolici disorientati dalle scelte di Francesco? Vescovi che prendono posizione contro l’esecutivo non sono mai mancati, ma quando si muove il presidente della Cei la cosa è molto diversa. Zuppi ha voluto esprimere tutta la propria «delusione per la scelta del governo di modificare in modo unilaterale le finalità e le modalità di attribuzione dell’Otto per mille di pertinenza dello Stato», e il suo intervento segna un salto di qualità. Che arriva in contemporanea con le parole del vicepresidente della Cei Francesco Savino (non nuovo a certe cose, lui), il quale ha esortato i fedeli a non disertare le urne dei referendum (è la stessa Cei che nel 2005 fece battaglia per l’astensione ai quesiti sulla procreazione assistita).
Sono anni che lo Stato fa “concorrenza” alla Cei con l’Otto per mille, sono anni che un numero crescente di contribuenti abbandona la Chiesa italiana (nel 2010 aveva l’82,2% delle firme, nel 2022 è scesa al 67,3%) in favore dello Stato. E sono anni che il meccanismo è cambiato: la modifica che consente a chi devolve la quota allo Stato di decidere a quale tipo di intervento destinare il proprio contributo (contrasto alla fame nel mondo, ristrutturazione degli edifici scolastici eccetera), e che pare aver dato ulteriore spinta a questa scelta, fu approvata nel 2019 dalla maggioranza giallorossa. Da allora, silenzio della Cei con Giuseppe Conte e silenzio con Mario Draghi.
L’attacco frontale è partito solo adesso, e il casus belli è la decisione del governo di inserire, tra le opzioni a disposizione del contribuente che firma per lo Stato, una sesta possibilità: quella di sostenere le comunità di recupero dalle dipendenze. Per Zuppi, ciò significa «mettere in difficoltà» la Cei. Eppure questa novità premia anche tante realtà fondate e gestite da religiosi, come la Papa Giovanni XXIII creata da don Benzi e la Exodus di don Mazzi: dov’è l’affronto alla Chiesa?
Visto che gli italiani preferiscono “controllare” la destinazione del loro Otto per mille, il presidente dei vescovi potrebbe chiedere di dare la stessa possibilità a chi firma per la Cei. Consentendogli di scegliere se finanziare gli aiuti ai migranti, i restauri delle chiese o altro. Zuppi, però, non propone questo: il problema, per lui, è il governo che dà più potere di scelta ai contribuenti, non la Chiesa che non ne dà affatto.
La Cei si trova bene con la piena libertà attuale, che le consente di finanziare imprese come quelle dell’ong di Luca Casarini e di usare il 40% dei propri introiti (400 milioni su un miliardo di euro) non per opere pie, ma per il sostentamento del clero, ovvero per il “monte stipendi” del proprio “personale”. È l’ammontare che non va bene, perché si sta riducendo, e a questo dovrebbe provvedere lo Stato, ridimensionando la propria quota invece che proporre agli italiani nuove opportunità di fare del bene.
Così Zuppi ha scelto di portare allo scontro diretto con palazzo Chigi la sua Cei, dove c’è delusione per la mancata elezione a pontefice dello stesso cardinale e per il ridimensionamento da parte di Leone XIV del suo referente più stretto, Vincenzo Paglia, “figlio” come Zuppi della comunità di Sant’Egidio. Anche se il rapporto di Meloni con Bergoglio era ottimo, il pontefice argentino è apparso divisivo agli occhi di molti elettori di centrodestra. Adesso, col papa statunitense, c’è una relazione da costruire, e ci sono i presupposti affinché inizi una nuova fase tra la Chiesa e il popolo cattolico di orientamento conservatore.
Se questo oggi appare possibile è grazie a Prevost, non a Zuppi. Il quale ha scelto il momento più delicato per fare l’uscita più dirompente del suo mandato, la cui scadenza naturale è nel 2027.
Segno che forse non è lui l’uomo adatto per guidare la Conferenza dei vescovi in una fase come questa.