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Addio ai paradisi fiscali:fine del segreto bancario

I territori sotto protettorato britannico cancellano il segreto bancario
di Andrea Tempestini domenica 5 maggio 2013

3' di lettura

  di Eugenio Facci I paradisi fiscali legati al Regno Unito hanno ceduto alle pressioni di Londra e accettato di condividere con le autorità britanniche dati fondamentali per stanare gli evasori fiscali. L’accordo è solo l’ultimo di una serie di iniziative che le autorità di tutto il mondo (inclusa l’UE e gli USA) stanno portando avanti nella lotta all’evasione, lotta che è stata accelerata negli ultimi anni dalla necessità di vari governi di fare fronte a crescenti buchi di bilancio.  L’accordo prevede che vari territori sotto protettorato britannico forniscano a Londra dati che di fatto pongono fine al segreto bancario, tra cui i nomi dei possessori di conti, i montanti depositati ed i movimenti registrati. La Gran Bretagna passerà inoltre tali informazioni anche a Germania, Francia, Spagna e Italia, dato che i cinque paesi europei già da tempo collaborano al riguardo. All’accordo, firmato ieri, partecipano le isole Anguilla, Bermuda, le Isole Vergini Britanniche, Montserrat e le isole Turks e Caicos. Precedentemente anche le isole Guernsey, Jersey e Man avevano sottoscritto accordi simili con Londra. La lotta all’evasione ha ricevuto una forte spinta dal 2008 in poi, quando la crisi subprime ha creato grossi deficit nei bilanci di molti governi, costretti a sostenere le proprie banche e le proprie economie attingendo al portafoglio statale. Al fenomeno non è rimasto immune nessun paradiso fiscale. Proprio nel 2008 ad esempio gli USA iniziarono una vasta inchiesta sulla banca svizzera UBS che terminò con una multa di circa 600 milioni di Euro e l’ottenimento di informazioni riguardo a 4.700 conti detenuti da cittadini americani, secondo i dati riportati da Bloomberg News.  Più recentemente una ulteriore spinta alla lotta ai paradisi fiscali è arrivata dal caso Cipro, dove erano depositati i conti di molti facoltosi russi. I problemi bancari dell’isola, che hanno costretto le autorità di Nicosia a chiedere aiuto all’Europa, hanno messo in risalto l’esistenza di un paradiso fiscale interno all’UE che di fatto permetteva il deposito di fondi di dubbia provenienza. Durante la crisi Cipro ha ricevuto dall’Europa solo parzialmente l’aiuto che cercava, ed il messaggio è stato chiaro: in caso di difficoltà i paradisi fiscali rischiano di venire abbandonati dalla comunità internazionale. Una ulteriore spinta alla lotta all’evasione sta arrivando ora dal Regno Unito, presidente di turno del G8. Il premier Cameron vuole che il prossimo meeting delle 8 principali potenze mondiali sia «il punto di svolta nella battaglia all’evasione fiscale» secondo quanto riportato dal Financial Times, con l’obbiettivo aggiuntivo di far tornare tra i cittadini «la fiducia nel sistema fiscale». Prima dell’accordo di ieri altri paradisi fiscali avevano già fatto passi per aumentare la propria trasparenza bancaria. Il Liechtenstein ha eliminato il segreto bancario quattro anni fa e si definisce ora un «porto sicuro, non un paradiso fiscale», secondo le parole di Mario Gassner, direttore della locale autorità per i mercati finanziari. La stessa Svizzera è sottoposta a notevoli pressioni. La più antica banca privata elvetica, Wegelin & Co., ha ammesso in gennaio in un processo tenutosi a New York di aver "cospirato" nel nascondere circa 1 miliardo di euro dal Tesoro USA, aiutando almeno 70 privati o società americane ad evadere e finendo col pagare circa 60 milioni di euro di multa. Dopo 272 anni di attività la banca ha chiuso i battenti. E forse questo è il destino di molti paradisi fiscali, almeno di quelli intesi nel senso classico.   

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