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I nemici della ripresa:ecco chi può fermarla

di Andrea Tempestini domenica 14 luglio 2013

3' di lettura

In una nazione dove lo Stato è causa diretta, per pagamenti in ritardo, di migliaia di fallimenti aziendali, e dove ha causato una recessione catastrofica alzando le tasse, invece di tagliare la spesa pubblica, la prima cosa da valutare sui primi segnali di ripresa è il rischio che la politica la soffochi. Che tipo di ripresa è? Si tratta di un aggiustamento «naturale» del ciclo economico. Il modello economico resta comunista: Kohl propose una nuova definizione di comunismo in era post-sovietica, individuandolo nelle condizioni di drenaggio fiscale e spesa pubblica attorno al 50% del Pil, cioè dove il ceto parassitario vampirizza i creatori di ricchezza. L’effetto depressivo di tale modello è stato peggiorato dall’inettitudine dei recenti governi, solo un po’ attutito da quello in carica.  Ma, nonostante questa catastrofe auto-indotta, c’è ancora un residuo consistente di popolo del mercato che è vivo. Circa 1/3 degli italiani è ormai impoverito, ma i 2/3 sono sopravvissuti, hanno incrementato i risparmi temendo il peggio ma ora stanno, pur lentamente, tornando a spendere. Perché? Non per più fiducia, ma perché, semplicemente, si sono stufati di fare vite misere. Circa i 2/5 delle aziende sono fallite o stanno per farlo, ma il resto ha imparato come conquistare nuovi mercati esteri o a galleggiare nella palude di quello interno. Quindi, se le condizioni esterne e interne non peggiorano, dobbiamo aspettarci una stabilizzazione della situazione, appunto, per aggiustamento naturale. Ma basta poco per tornare in ciclo negativo. Nessuno si aspetta che la politica faccia qualcosa di serio e incisivo. Se, tuttavia, il governo non alzasse le tasse e non esasperasse la repressione fiscale, allora questo basterebbe per far crescere pian piano la fiducia e il Pil nel 2014. In sintesi, il libero mercato che rimane dopo la distruzione attuata dagli statalisti è forte abbastanza per una ripresa, pur minima, anche a condizioni di modello comunista. Ma è una tendenza fragile, vulnerabile sia a conflitti sociali sia a inasprimenti fiscali.  Ciò suggerisce che in questa delicatissima fase del ciclo economico bisogna evitare sia tentativi di cambiare modello, sia un aumento dei pesi fiscali, perché ambedue generativi di conflitti: il secondo, in particolare, distruttivo. Ovviamente ci sono anche fattori esterni che possono uccidere la ripresa. Tra questi c’è un aumento del cambio dell’euro, una nuova crisi di fiducia sul debito italiano e, di conseguenza, sul suo sistema bancario. C’è anche il pericolo di crisi bancaria, e quindi di passaggio dalla restrizione al collasso del credito, dovuto alla marea di insolvenze in arrivo sui bilanci di banche che dovrebbero, tutte, ricapitalizzarsi. Ma contro questi tre rischi c’è la buona gestione dell’euro - sistema da parte di Draghi – con il sostegno riservato di tutte le banche centrali del G7 che gli fornisce un potere sufficiente contro le interferenze irrazionali della Germania – e, per il momento, possiamo fidarci. In conclusione, nel breve bisogna muovere l’Italia su una linea di stabilizzazione senza tentare rivoluzioni e senza appesantimenti depressivi.  Ma, stabilizzata la situazione, bisognerà cambiare modello perché in quello comunista attuale il meglio che si può ottenere è la stagnazione perenne. Sarà possibile? Sarà inevitabile per chi vuole vivere con pienezza e non in miseria. Infatti suggerisco ai soggetti più attivi del popolo del libero mercato una strategia in due fasi: (a) sostenere la stabilizzazione, come qui detto, fino a quando si realizzerà in forma consolidata senza accendere conflitti; (b) poi organizzare un movimento destatalizzante, grande e compatto abbastanza per vincere qualsiasi resistenza di statalisti di sinistra e destra, nonché del ceto parassitario a questi collegato. Scusate il lirismo, ma nel Nordest sento già levarsi questo vento e il profumo di libertà e rinascita che porta. Eccita. di Carlo Pelanda www.carlopelanda.com 

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