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Pensioni, arriva il "malus" sull'assegno: l'ultima rapina, ecco chi viene spennato

sabato 16 ottobre 2021

2' di lettura

Si cerca la quadra sulla riforma delle pensioni e si fa sempre più concreta l'ipotesi tra i tecnici dei ministeri competenti e dell'Inps di un'uscita dal lavoro a 63 anni, con penalizzazioni sull'assegno. Riporta il Giorno che "non è ancora stato sciolto il nodo tra la ricetta Tridico (assegno anticipato solo nella quota contributiva) e la ricetta Damiano (pensione intera, ma con penalizzazioni per la quota retributiva). Anche perché la soluzione individuata dal presidente Inps prevede un grosso taglio del trattamento erogato in anticipo".

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In questo caso infatti "un lavoratore nato nel 1960, che abbia cominciato a lavorare nel 1985, con uno stipendio di 1.800 euro, potrebbe incassare 847 euro a 63 anni e 1.253 dai 67 anni in avanti. Oltre all'intervento che passa per l'ampliamento dell'Ape sociale attraverso l'individuazione di nuove categorie di lavoratori che svolgono attività cosiddette gravose, il governo pensa sempre più a misure strutturali e generalizzate, non legate quindi a specifiche attività lavorative svolte"

Servirà una misura che tenga in riga i conti ed eviti che da gennaio si passi di colpo da 62 a 67 anni (lo scalone) per andare in pensione. Considerando che è pure stata bocciata la soluzione dei 41 anni di contributi a prescindere dall'età, perché eccessivamente onerosa: 9 miliardi nel 2029. "Come soluzione generalista, dunque, c'è innanzitutto quella che è stata ribattezzata Ape contributiva. In sostanza, i lavoratori con almeno 20 anni di contribuzione, che abbiano 63 anni e che abbiano maturato un assegno pari o superiore a 1,2 volte l'assegno sociale (618 euro mensili) potrebbero lasciare il lavoro in anticipo ottenendo come trattamento solo la quota di pensione maturata e calcolata con il metodo contributivo. Mentre l'altra fetta, quella derivante dal calcolo retributivo, verrebbe incassata dai 67 anni in avanti".

I lavoratori interessati alla misura secondo Tridico sono circa 200mila in tre anni, "con un costo dovuto solo all'anticipazione di cassa, ma non effettivo, perché i lavoratori anticipano la pensione che hanno accumulato con i loro contributi. Il problema è che l'anticipo risulterebbe troppo basso al punto da disincentivare la scelta e da vanificare l'intero meccanismo. Di fatto una strada sbarrata, se non per i lavoratori che abbiano il conteggio della pensione fondato interamente sul calcolo contributivo".

Con la ricetta Damiano si avrebbe: uscita dai 63 anni in avanti, con anticipo di 4 anni, penalizzazione del 2-3 per cento per ogni anno fino a un massimo di taglio dell'8-12 per cento, ma solo per la parte retributiva dell'assegno. "Rispetto al 2013 quando è stata presentata - spiega l'ex ministro - si tratterebbe di una soluzione meno costosa per lo Stato e meno penalizzante per i lavoratori, perché nel frattempo è aumentata la parte calcolata con il sistema contributivo". Questa via, rispetto a quella di Tridico, permette al lavoratore di avere la pensione per intero senza dover attendere i 67 anni, anche se la penalizzazione vale per tutta la durata del trattamento.

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