Il caso

Bce, la decisione che rovina l'Italia: maxi-conto da pagare

Adriano Bascapè

Mentre l’emergenza dei costi energetici sta rientrando, dall’altro, le imprese devono affrontare una nuova emergenza. Con il rialzo dei tassi deciso dalla Banca centrale europea nel tentativo di contrastare l’inflazione si appesantisce parecchio la cambiale degli interessi. Nel 2023 il tasso medio di sconto europeo ha raggiunto il 3,5%, due punti percentuali in più sul 2022 e considerando un'esposizione debitoria delle imprese italiane che raggiunge i 749 miliardi di euro, questo aumento significa che i nostri imprenditori si troveranno nel 2023 a dover pagare interessi per finanziamenti, mutui e leasing per un totale di oltre 35 miliardi l’anno. Ben 15 in più rispetto all’anno scorso. 

Fra l’altro le regioni più penalizzate da questo aumento dei tassi saranno quelle dove sono maggiormente concentrate le attività produttive che si avvalgono dell’aiuto degli istituti di credito. In testa c’è la Lombardia le cui imprese sono chiamate a sborsare nei dodici mesi 10,2 miliardi di interessi, ben 4,3 in più sul 2022. Seguono Emilia Romagna e Lazio con 3,7 miliardi, 1,5 in più ciascuna rispetto allo scorso anno. Poi vengono il Veneto - 3,5 miliardi da versare, 1,5 in più - e il Piemonte: 2,5 miliardi di interessi, un miliardo in più sul 2022.

IL RITOCCO DI MARZO
I numeri escono da una analisi condotta da Studio Temporary Manager. «L’aumento dei tassi, soprattutto l’ultimo di 50 punti base effettuato a marzo 2023, è assolutamente ingiustificato visto il calo dell’inflazione su base mensile nei primi mesi del 2023», afferma Roberto La Caria, socio e amministratore delegato di Studio Temporary Manager. «Con molta probabilità avrà un forte impatto sugli oneri finanziari, anche triplicandoli su base annua, con un effetto particolarmente pesante sia per le aziende italiane, contraddistinte da una scarsa capitalizzazione e un forte ricorso al debito, sia per i consumatori sia per tutto il sistema finanziario», aggiunge il manager. Certo, nel primo trimestre dell’anno l’inflazione su base annua è ancora elevata, attorno al 7,7%, ma se misurata su base mensile consente di leggere inequivocabilmente una frenata. Dopo lo 0,1% di gennaio e lo 0,2% di febbraio, la stima di marzo la fotografa addirittura a -0,3%. «Con questi dati l’inflazione tendenziale su base annua potrebbe attestarsi tra il 5% e il 6%% nel 2023.

 


DENARO TROPPO CARO
Nel corso dell'anno il tasso dovrebbe registrare una marcata riduzione, per poi collocarsi in media al 3,4% nel 2024 e al 2,3% nel 2025. Per questo, l'ulteriore aumento dei tassi della Bce di 50 punti base a marzo, che ha portato il tasso di sconto europeo al 3,5%, ipoteticamente ad un valore superiore all'inflazione tendenziale, avrà molte conseguenze per le aziende che negli ultimi anni hanno fatto ampio ricorso al debito per gli investimenti», continua La Caria. Investimenti spinti anche dalle agevolazioni Industria 4.0. e dai prestiti contratti durante il Covid garantiti dallo Stato. Agevolazioni che hanno permesso un significativo rinnovo tecnologico delle aziende, ma hanno pure incrementato l’esposizione. Anche Bankitalia parla di costo eccessivo del credito. «Il rialzo dei tassi ufficiali continua a trasferirsi al costo del credito», si legge sul Bollettino mensile di Palazzo Koch, «i prestiti bancari si sono contratti tra novembre e febbraio, in particolare quelli verso le imprese, per effetto della debolezza della domanda e di criteri di offerta più stringenti». In particolare «il tasso di interesse medio sui nuovi prestiti bancari alle imprese è salito di circa 60 punti base da novembre (al 3,6% in febbraio). Il costo dei nuovi prestiti alle famiglie per l’acquisto di abitazioni è salito al 3,8% (dal 3,1).