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Se Cuccia fosse ancora tra noi...

Quattro punti per capire cosa sta succedendo dentro e attorno Mediobanca. E un sospetto: a chi sta ancora a cuore l'interesse nazionale?
di Mario Sechi lunedì 16 giugno 2025

3' di lettura

La nascita e lo sviluppo di Mediobanca sono un pezzo fondamentale della storia economica e politica dell’Italia, leggere le relazioni introduttive al bilancio scritte da Enrico Cuccia tra il 1947 e il 1982 è un’avventura nel passato e un ottimo punto di partenza per valutare i fatti in cronaca. Nelle relazioni si può cogliere la differenza tra il grande e il piccolo, il sicuro e l’arrogante, il costruttore e lo speculatore. Si parte sempre dalla parola: Cuccia possedeva stile asciutto, italiano chiaro, equilibrio nel presentare i numeri della banca, le operazioni e le ragioni che avevano guidato le scelte dell’istituto, qualità che la Mediobanca di oggi non ha perché ha perso il dono del silenzio, l’umiltà del posizionamento, il dono della prudenza, la consapevolezza dell’inizio e della fine. Se Cuccia fosse stato tra noi, oggi avrebbe accompagnato alla porta – in assoluto silenzio – Alberto Nagel, amministratore delegato di Mediobanca.

Un’istituzione con quella storia, ridotta a rinviare l’assemblea degli azionisti fissata per il giorno dopo, non è solo una notizia da prima pagina, è un fatto preoccupante. Perché non siamo di fronte alla routine, a una banale questione societaria, ma a una storia buona per uno Sherlock Holmes della finanza. Vediamo qualche elemento d’indagine:

1. Se convochi un cda straordinario per fare marcia indietro a tutta forza, stai certificando che la tua ostentata sicurezza era un bluff, vuol dire che sull’operazione per acquistare Banca Generali non hai i voti in assemblea e l’unico modo per evitare la disfatta è quello di rinviare la partita. E meno male che Mediobanca si faceva paladina del mercato...

2. Non sfugge a nessuno che il dietrofront di Mediobanca arriva dopo una serie di iniziative su diversi fronti (legale, amministrativo, politico, giudiziario) che hanno in comune un fil rouge: il rapporto tra Mediobanca e Generali, il reciproco scambio di alleanze e le consolidate amicizie pluriennali tra gli amministratori. L’obiettivo di tutte queste iniziative è la legittima aspirazione del gruppo Caltagirone e della Delfin degli eredi Del Vecchio di scalare Mediobanca e in futuro dare a Generali un assetto meno rivolto alle attenzioni dei francesi;

3. Il rinvio dell’assemblea chiesto da Caltagirone (il 3 giugno) per avere un quadro chiaro sull’acquisto di Banca Generali, era finito sotto silenzio, poi è saltato fuori il coniglietto dal cilindro, puntualissimo, una nota di Generali che il 12 giugno scorso annuncia di aver cominciato l’esame dell’operazione proposta da Mediobanca su un suo asset;

4. Il quarto punto è un completo sottosopra del funzionamento del capitalismo e delle società per azioni: siamo arrivati al punto che gli azionisti sono succubi degli amministratori, un completo sovvertimento della logica, visto che la loro autonomia si ferma proprio di fronte ai diritti e alla volontà degli azionisti, che in questo caso non hanno avuto neppure la possibilità di esprimersi, perché ci sarebbe stata una decisione contraria ai disegni degli organi esecutivi.

Questi quattro punti sono i chiodi che reggono un quadro ben più ampio delle singole partite finanziarie su Generali e Mediobanca alle quali va aggiunta la scalata Unicredit su Bpm, operazione ancora in fieri, ma sempre più improbabile - che riguarda il tema della sovranità finanziaria e della difesa del risparmio italiano. La sovranità è una leva fondamentale nello scenario contemporaneo per giocare la partita che vede un nuovo ordine mondiale; la difesa riguarda il lavoro delle imprese e delle famiglie, la capacità di reddito nel presente e la possibilità di affrontare il futuro. Nessuno può guardare al domani se non ha il potere di decidere come usare il suo denaro. É una legge che Enrico Cuccia conosceva bene, riguardava la costruzione di una grande potenza industriale, l’Italia, missione fatta con un obiettivo che sembra essere sconosciuto a una non piccola parte dei finanzieri contemporanei: l’interesse nazionale.

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