La situazione economica è migliorata, ma non molto. L’inflazione è sotto controllo, però non bisogna abbassare la guardia. Tornata dalle vacanze, Christine Lagarde ha continuato a suonare la stessa musica. Tassi fermi, perla terza riunione consecutiva dopo il taglio di giugno, e bocca cucita sul futuro. «Siamo ben posizionati» per valutare quel che accadrà, «decideremo in base ai dati, riunione dopo riunione» e «senza vincolarci a un particolare percorso dei tassi», ha spiegato il capo della politica monetaria europea, usando più o meno le stesse parole che usa da un paio di anni.
Per intenderci, al di là della decisione presa dal direttivo all’unanimità, nessuno ha capito se le riduzioni del costo del denaro iniziate nel giugno 2024 siano arrivata al capolinea o se sia in atto semplicemente una pausa. A sostegno della numero uno della Bce va detto che quando ha cercato di prendere in mano il timone le cose non sono andate proprio benissimo.
Nel marzo del 2020, in piena pandemia, aveva tuonato che non era compito della Bce ridurre gli spread. Risultato: terremoto devastante su tutte le Borse europee, a partire da Piazza Affari. Poi c’è stata la volta dell’inflazione. Una bufera passeggera, durerà poco, aveva spiegato. Ancora oggi non perde occasione per scusarsi, dicendo che ne aveva sotto valutato la «persistenza».
Di qui, un po’ per questioni di sopravvivenza, la decisione di non dire più nulla. O meglio di dire cose imperscrutabili e difficilmente comprensibili. La strategia può sembrare bizzarra, ma è ben nota agli analisti finanziari e macroeconomici. I quali rispolverando un po’ di mitologia classica, l’hanno classificata come “effetto Delfi”. Il nome è ovviamente preso dal famoso oracolo e il significato è evidente.
L'«effetto Delfi» si riferisce alla situazione in cui le decisioni e le comunicazioni di una Banca Centrale provocano reazioni impreviste o indesiderate nei mercati. E questo accade quando gli operatori economici interpretano le comunicazioni in modo ambivalente perché la politica monetaria proposta non è ritenuta convincente o chiara, o quando le dichiarazioni dei banchieri centrali sono incoerenti. A questo si contrappone “l’effetto Ulisse”, che si verifica quando, al contrario, sfruttando la credibilità e l'anticipazione delle decisioni della Banca centrale, gli operatori di mercato agiscano in linea con le intenzioni espresse, semplificando così l’attuazione delle politiche.
Meglio Delfi o Ulisse? Nessuno avrebbe dubbi, ma la Lagarde ieri ha proposto una terza via. Rifiutando di collocarsi tra i falchi (tassi alti per combattere l’inflazione) o le colombe (tassi bassi per aiutare l’economia) ha detto di trovarsi più a suo agio con un altro volatile. «Come le civette», ha spiegato, «voglio guardare attorno a me a 360 gradi per prendere le decisioni migliori». La scelta non è buttata lì.
E la mitologia ci mette di nuovo lo zampino. La civetta, infatti, è l’uccello di Minerva (o Atena), simbolo della filosofia e della saggezza.
Ma è anche altro. Uno che la sapeva lunga come Georg Wilhelm Friedrich Hegel sosteneva che «l’uccello di Minerva si leva sul fare del tramonto». Il che significa che riesce a comprendere la realtà solo dopo che essa ha compiuto il suo corso o si è già dispiegata nella storia. In altre parole, vede le cose soltanto dopo che sono accadute. Esattamente come Madame Lagarde, che di fronte all’incertezza geopolitica, all’effetto dei dazi, al dollaro debole e alla Francia sull’orlo del baratro ha ribadito che non muoverà un dito prima di vedere i dati. Al tramonto, per l’appunto.