La notizia è il miglioramento del giudizio sul nostro paese emesso da Fitch, che ci ha alzato il rating. Il rating è l’analisi e la classificazione, da parte delle agenzie preposte, dell’affidabilità di un ente pubblico o di un soggetto privato (un’impresa, una società finanziaria, un istituto di credito, ecc.) valutata in sé e per sé oppure espressa sulla base della solvibilità dei loro titoli.
La parola, un derivato del verbo to rate (‘stimare’, ‘valutare’, ‘giudicare’, ‘classificare’, ‘quotare’), circola ampiamente in italiano con questo significato dagli anni Novanta.
Diversamente da un altro tipo di rating, il coefficiente di correzione calcolato in piedi o in metri, reso anche come stazza di regata, applicato alle imbarcazioni a vela gareggianti in una regata per compensare a livello temporale le loro differenze in fatto di modelli e dimensioni, in contesto italiano il rating economico -finanziario rimane spesso tal quale: classificazione non rende il concetto, e così un termine “collaterale” come affidabilità, laddove valutazione è riuscita ad acclimatarsi solo nell’espressione agenzia di valutazione come equivalente di agenzia di rating.
Una pigrizia traduttiva tutta italiana, perché altrove, se talvolta neanche qui la resa del vocabolo con termini generici risponde allo scopo, i corrispettivi autoctoni di (credit) rating agency sono più diffusi di quanto sia da noi agenzia di valutazione: dal francese agence de notation financière allo spagnolo agencia de calificación (de riesgos, o de créditos) o agencia calificadora. Per dare un’idea delle modalità dell’approccio franco-spagnolo basti citare qualche altra parola o locuzione. In spagnolo il budget – sarebbe bilancio preventivo, ma è poco usato – è presupuesto, mentre merchandising e joint venture sono in francese marchandisage ed entreprise en association (o coentreprise, o opération conjointe). Andiamo meglio con l’outsourcing. Qui a deslocalización e a sous-traitance (o délocalisation) rispondiamo bene con esternalizzazione.