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"Gesù ucciso ingiustamente". Keniota fa causa all'Italia e a Israele

L'avvocato ha chiesto che la Corte Internazionale dell'Aja annulli la condanna a morte di Cristo
di Nicoletta Orlandi Posti domenica 11 agosto 2013

2' di lettura

L’uso politico della giustizia non è un tema nato con Berlusconi, se ne discute da almeno duemila anni, dall’epoca di un processo al cui confronto la sentenza Mediaset è una bega di provincia. Dola Indidis, avvocato kenyano, ha chiesto che la Corte internazionale di giustizia dell’Aja annulli la condanna a morte di Gesù. Non solo, vuole citare in giudizio lo Stato di Israele e quello italiano, responsabili della condanna rispettivamente nelle persone dei sacerdoti del Sinedrio e di Erode Antipa, e del governatore romano della Giudea, Ponzio Pilato e dell’imperatore Tiberio. Senza contare che Italia e Israele «applicano ancora norme basate sulle leggi ingiuste dell’impero romano». Il processo, secondo Indidis, violò palesemente lo stato di diritto.  «Cristo venne torturato durante l’inchiesta, fu preso a sputi, a pugni, schiaffeggiato, insultato», argomenta l’avvocato kenyano. Tra l’altro Ponzio Pilato, chiamato a giudicare Gesù, ammise di non averne facoltà. Da cui il celebre gesto di lavarsi le mani e lasciare che fosse la folla a decretare la morte dell’imputato. Cosa ci vuole di più per stabilire che si trattò di un clamoroso errore giudiziario? Indidis si richiama al precedente caso di Giovanna d’Arco, martire del cristianesimo, messa al rogo nel 1431 e poi riabilitata da papa Callisto III dopo una revisione del processo. Ma la revisione del processo alla pulzella d’Orleans avvenne poco più di vent’anni dopo la sua esecuzione, non dopo venti secoli. Inoltre, come ha specificato alla rivista Time una giurista della Columbia Law School, Anthea Roberts, molto probabilmente la richiesta di Dola Indidis non sarà nemmeno presa in considerazione. E non perché sia stravagante o inutile, ma per una questione procedurale: la corte internazionale di giustizia giudica contenziosi tra gli Stati, non quelli avanzati da un privato cittadino. Con ogni probabilità dunque il processo a Cristo non subirà revisioni. Molto meglio così, anche perché, chissà se Dola Indidis ci ha mai pensato, se il processo a Cristo fosse stato giusto, secondo le garanzie dello stato di diritto, ed egli difeso da un formidabile principe del foro di Gerusalemme, e dunque assolto, che ne sarebbe stato della passione, crocifissione e resurrezione del Salvatore? Cioè con il fondamentale sacrificio di Cristo alla base del concetto cristiano di salvezza? Gesù avrebbe avuta salva la vita e noi, peccatori, saremmo ancora dannati. Né, ovviamente, sarebbe mai nata la religione cristiana. In questo caso, a differenza di altri, l’errore giudiziario, o per meglio dire, l’uso politico della giustizia, è stato provvidenziale.  Da un giudice privo di competenza, una folla ostile, un’élite avversa, nacque una fede che dura da due millenni. di Giordano Tedoldi

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