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Cammino di Santiago, una strage: come sono morti tre pellegrini

Claudia Osmetti
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Sono più di ottocento chilometri: non è come scalare l’Everest, ma non è nemmeno una passeggiata. Bisogna essere preparati, allenati, occorre avere la giusta attrezzatura e sapere quando è ora di fermarsi. Magari di chiedere un passaggio o chiamare un taxi. I malori improvvisi, il caldo, la fatica, non vanno mai sottovalutati. Il cammino di Santiago di Compostela, che dai Pirenei arriva fin quasi sulla costa dell’oceano, può avere le sue insidie.

È che uno non ci pensa, s’immagina un trekking medio-semplice, parte più o meno all’avventura; invece gli itinerari, sempre, vanno studiati e calibrati in base alle proprie capacità.

Nelle ultime tre settimane sono morti tre pellegrini, nella regione spagnola di Navarra, percorrendo quei sentieri nati nel Medioevo, sulla spinta della devozione per l’apostolo San Giacomo il Maggiore le cui reliquie si trovano, appunto, nella cattedrale di Santiago. L’ultima è una donna tedesca di 61 anni, deceduta venerdì 7 giugno, intorno a mezzodì, probabilmente per un arresto cardio-respiratorio, mentre si trovava a Zuriain, cioè qualche chilometro a nord di Pamplona.

 

 

Lo sterrato che s’alterna all’asfalto, tutte le località sono collegate (pure bene), c’è un via vai continuo, esistono servizi di ogni genere (non ultimo quello di spedire il bagaglio e ritrovarlo in ostello, evitando quindi di portarselo addosso): epperò quando sale la temperatura, quando ci si sente male, quando addirittura ci si mette il destino (o la sfortuna, come nel caso del bretone 45enne che il 20 maggio è precipitato in un burrone nell’area di Erro), non lo puoi controllare.

Arrivano i soccorsi, certo. Il personale sanitario, gli agenti di polizia. Fanno l’impossibile. Sanno come trattare episodi del genere anche perché a livello statistico parliamo di una sciocchezza (dato che solo nel 2023 le persone che hanno completato il cammino sono state 446.064), ma gli incidenti e gli infortuni mortali, purtroppo, si registrano. Eccome. Negli ultimi trent’anni, sul cammino di Santiago, sono deceduti in quasi duecento: molti di loro hanno persino una croce, una lapide, una targa che li ricorda o ricorda la tragedia che li ha coinvolti; nove erano italiani.

Colpa dei malori, in massima parte. Dei colpi di calore, degli ictus (come per l’altro 61enne che è morto a Orreaga, mercoledì 22 maggio, se l’è portato via un infarto). Camminare sotto il sole, nelle ore più afose, specialmente in estate, forse non regolando la giusta idratazione, non è una buona idea.

 

 

Però ci sono anche i sinistri stradali (almeno una trentina); quelli che generalmente avvengono nelle zone di montagna (dove scivolare è un attimo) e in quelle di mare (come a Finisterre, un ulteriore tratto, quasi un bonus, da Santiago giù fino all’Atlantico, dove il richiaLe vie per Santiago, in verità, sono diverse: il cammino francese (collegato anche alla via Francigena che parte dall’Italia), quello primitivo (che inizia a Oviedo), quello portoghese (da Lisbona), quello inglese che segue l’insenatura di Rìa de Ferrol, quello del Nord e l’andalusa via de la plata. Dal 1993 le strade spagnole e francesi che compongono questo itinerario sono state dichiarate dall’Unesco patrimonio dell’umanità. E sono assai frequentante.

Per alcuni un senso di pace. Perché no, anche di meditazione. Per altri una semplice sfida (il cammino di Santiago è sì sorto come pellegrinaggio religioso, ma è oramai percorso anche per semplici fini turistici). Il motivo spirituale e quello sportivo, nonchè naturalistico. Recentemente anche una sorta di moda, non sono europea, ma che ha conquistato perfino il mondo asiatico (tanti, per esempio, sono ora i sudcoreani che lo intraprendono). Ogni ragione è, ovviamente, legittima: resta tuttavia il fatto che chi decide di mettersi gli scarponcini ai piedi deve usare delle piccole accortezze, che poi sono le stesse di quando si va a camminare in montagna o si fanno sforzi prolungati. 

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