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Donald Trump, Corrado Augias e il peggio della sinistra: "Usa il corpo ferito per avere consenso"

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Alessandro Gonzato
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Come un flipper impazzito. Tin-tin-tin. La sinistra è andata in tilt. Il biliardino elettrico ha i disegni di Trump. Donald è ovunque: sullo schermo e tutt’attorno, dove si premono i pulsanti che azionano le alette, ma non funzionano.

Le palline che cadono una dietro l’altra dentro il buco centrale hanno molti volti tra cui si riconoscono quelli di Alan Friedman, Corrado Augias, Gad Lerner, Flavia Perina, Ezio Mauro, Paolo Berizzi l’acchiappa-fascisti, e fatichiamo a tenere il ritmo. Concentriamoci. Friedman, tuttologo newyorkese, su La Stampa ha scritto, nell’ordine, che Trump «alla Convention repubblicana di Milwaukee si esibirà nella miglior performance della sua vita», «farà il martire», e mannaggia che non lo è diventato per davvero, altrimenti sai che show, Alan; poi Friedman ha osservato che «ad alcuni il tentato omicidio richiamerà alla mente l’incendio del Reichstag del 1933, e il riferimento è al parlamento «usato dai nazisti per consolidare il regime.

Hitler accusa un comunista olandese di aver appiccato l’incendio», spiega Friedman, «ma perlopiù gli storici propendono per l’idea che a organizzare il tutto furono i sodali di Hitler. Il quale usò l’incendio come pretesto per imporre la legge marziale e iniziare l’ascesa verso la piena dittatura». E insomma, Adolf J. Trump s’è sparato da solo. Cosa non si fa per vincere le elezioni...

 

COMMEDIA E DENARI
Poi il Friedman sostiene che il magnate sfrutterà l’attentato per racimolare soldi per la campagna elettorale. Quasi ci spiace dover passare al prossimo commento, che è quello di Augias, maître à penser della sinistra di cui è stato eurodeputato: «L’istinto del leader politico, usare il corpo ferito per avere consenso», spiega su Repubblica. Il giornalista-scrittore-conduttore-autore televisivo-drammaturgo, in una parola Augias, entra nel dettaglio: «Sono cose che non s’imparano, semplicemente si fanno se uno ha dentro di sé una naturale potenzialità istrionica, la consapevolezza che la lotta politica si fa anche esibendo le conseguenze di un attentato mancato (ah, mancato, ndr).

In piena campagna elettorale», sentenzia l’Augias, «una manna caduta dal cielo». E noi pensavamo che fosse un proiettile piovuto a un centimetro dalla tempia. Trump un po’ Berlusconi (la famigerata statuetta in faccia...) un po’ Mussolini, sottolinea il conduttore della “Torre di Babele”. Tocca a Lerner, il quale in tivù ha detto che «nel 1944 spararono anche a Hitler»- eccolo di nuovo il nazista - «ma questo non ne ha fatto un eroe»; poi il compagno Gad ha aggiunto che non va bene che Trump ringrazi Dio per averlo protetto (forse doveva ringraziare Mao), e ha twittato questo, con a corredo la foto di Donald ferito che si mostra alla gente: «Come cambiano i simboli... in questa foto storica e drammatica, almeno non porta la solita cravatta rossa». Già: stavolta di rosso c’è il sangue.

Attenzione: irrompe Flavia Perina, e si ritorna su La Stampa: «Colpisce la perfetta sintonia dell’ultradestra globale nell’additare l’attentato a Donald Trump come esito dell’odio della sinistra e dei “toni violenti contro gli avversarsi che rischiano di armare i deboli di mente”». A noi invece non stupisce il guizzo della Perina.

 

MONDO AL CONTRARIO
Tenetevi forte: «E tuttavia», tiene ad aggiungere Perina, «l’inventario dovrebbe cominciare da chi ha sdoganato anche intellettualmente l’odio come sentimento lecito e addirittura prerogativa inalienabile della persona. Ed è straniante», ecco, ci siamo, «ricordarsi che da noi è stato il candidato di punta del mondo sovranista, Roberto Vannacci, a comiziare sull’esistenza di uno specifico rito all’odio e a elaborare una tesi sulla difesa che ci porta lontano: “Se pianto la matita che ho nel taschino nella giugulare del ceffo che mi aggredisce, ammazzandolo, perché dovrei rischiare di essere condannato?”. E se percepisco quel ceffo, magari un candidato presidente», si chiede la Perina, «come minaccia per il mio mondo intero?». Una prece.

L’esperto Ezio Mauro ci informa che «la partita è diventata metapolitica, metafisica», il leader repubblicano è diventato «sacerdote di se stesso nella sua trasfigurazione mitologica, dilatando così fino al limite estremo le pulsioni fondamentali del populismo». Per il Berizzi «Salvini è un Trump che non ce l’ha fatta». Berizzi ce la fa sempre a fare il Berizzi.

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