Se ci fossero elezioni generali a breve nel Regno Unito, Nigel Farage ne uscirebbe quasi certamente come il nuovo primo ministro. Siccome le votazioni politiche saranno tra qualche anno, l’ingresso del capo di Reform Uka Downing Street rimane comunque assai probabile, visto che l’onda popolare che lo sta sospingendo pare inarrestabile. Ecco i proverbiali tre indizi che fanno una prova. Primo: una candidata di Farage ha vinto un’elezione parlamentare suppletiva in un collegio vicino Liverpool (Runcorn and Helsby), un’autentica roccaforte laburista dove il partito di sinistra, meno di un anno fa, aveva vinto con ben 33 punti di vantaggio. Secondo: anche alle elezioni comunali tenutesi giovedì, terreno tradizionalmente ostico per i movimenti di opinione, la performance del partito Reform Uk è stata lusinghiera. Terzo: nei sondaggi nazionali, la formazione di Farage è ormai clamorosamente prima, davanti ai laburisti e ai conservatori.
Giova ricordare che, alle ultime elezioni politiche del luglio scorso, il partito di Farage aveva raccolto il 14%, quindi un risultato importante ma non cosi travolgente. Ecco, in pochi mesi il volpone Nigel non solo è stato capace di fare tesoro della sua immensa popolarità personale, ma è riuscito per un verso a evitare che la nuova leader dei conservatori Kemi Badenoch ridesse particolare slancio ai Tories, e per altro verso ad essere lui a beneficiare dei catastrofici primi 9-10 mesi di governo laburista a guida di Keir Starmer. Su questo secondo versante, il lavoro è stato in fondo abbastanza agevole: se sei il partito di opposizione in maggiore ascesa, potrai tranquillamente far tesoro della cattiva prova di chi è in quel momento al governo. Ma anche sul primo versante Farage è stato efficace: la Badenoch è certamente credibile come candidata anti-woke, e ha una sua vivacità di leadership. Ma in entrambi i casi Farage risulta ancora più credibile e dotato di una verve nettamente maggiore.
Parliamoci chiaro. Siamo in presenza di un grande “casinista”? Può darsi: Farage è un tipo che non si è risparmiato nemmeno la partecipazione a un reality show veramente supertrash. Ma è anche- ecco il punto- un uomo capace di sintonizzarsi in modo anticipato e spettacolare con le emozioni e i ragionamenti degli elettori. Lui capisce loro, loro capiscono lui, e Nigel arriva sempre prima dei suoi avversari sulle nuove tendenze dell’opinione pubblica. E ora, circondato da incoraggiamenti e simpatie unici rispetto a qualsiasi altro leader politico, Farage può catturare voti sia a sinistra sia a destra, replicando la magia che in altri tempi riusciva a un altro personaggio fiammeggiante come Boris Johnson. Sul lato sinistro, a dispetto dell’immagine personale rassicurante che il premier Starmer si sforza di trasmettere, la parte fiscale e quella burocratica del suo programma sono già devastanti, e non pochi elettori sono amaramente pentiti della loro scelta pro Labour del luglio scorso. La sinistra non è mai moderata, anche quando vorrebbe far credere di esserlo.
Sul lato destro, come accennavo, Farage è in qualche modo simile a Johnson per la travolgente simpatia personale, per il suo sano euroscetticismo, cosi come per la disposizione d’animo molto positiva verso Trump. Ma in economia è assai più credibile come fautore dei tagli di tasse, e non è mai venuto meno al suo retroterra thatcheriano. Morale della favola: quando i conservatori non fanno bene il loro mestiere, nasce qualcosa alla loro destra, e funziona. Prendi Brexit. Dopo la vittoria referendaria del 2016, era preciso compito dei Tories credere in quell’esito, e quindi scommettere su un taglio di tasse e su un attacco alla burocrazia che potessero fare del Regno Unito qualcosa di ancora più distinto da Bruxelles, un hub capace di attrarre risorse e investimenti. E invece pure i conservatori, in ciò adeguandosi all’establishment culturale di sinistra, hanno vissuto Brexit in termini di danno da ridurre anziché come un’opportunità. E l’occasione è stata largamente sciupata.
Prendi ancora le tasse. Liz Truss, la premier arrivata a Downing Street prima di Rishi Sunak, aveva vinto il leadership contest (cioè le primarie interne) esattamente su un programma di taglio thatcheriano della pressione fiscale. Ora si può discutere in eterno sul motivo per cui quell’operazione non sia riuscita (errori suoi e del suo ministro dell’Economia, reazione eccessiva dei mercati, ostilità interne ed esterne al partito): ma è un fatto che il progetto sia miseramente naufragato. Che devono pensare gli elettori di un partito capace di liquidare una sua leader proprio sul punto decisivo sul quale aveva vinto le primarie?
E prendi infine l’immigrazione. Pure lì, nonostante tanti impegni, l’insuccesso del vecchio governo conservatore è rimasto negli occhi di tutti, con dati inquietanti relativi all’immigrazione illegale e pure – ciò che sgomenta anche di più – rispetto all’immigrazione legale. In altre parole, quelli che erano stati pensati come paletti normativi rigidi per evitare che – pur nella legalità – i numeri dei nuovi arrivati diventassero soverchianti sono stati travolti dalla realtà. A tutto questo vanno sommati l’islamizzazione crescente della società britannica e le derive inaccettabili delle manifestazioni pro Palestina. E così adesso, con i conservatori in una faticosa fase di riorganizzazione guidati dalla Badenoch, e i laburisti che su quegli stessi temi stanno governando nettamente peggio, un uomo solo può festeggiare. E il suo nome è Nigel.