Per far arrivare la guerra in Libia bastano gli aeroporti. È così che, nel dicembre scorso, dalla base navale siriana di Tartus, la Russia ha trasportato seimila tonnellate di equipaggiamento militare a Tobruk. Secondo la rivista dell’accademia militare di Westpoint, CTC Sentinel, il carico comprendeva mortai 2S12 Sani, camionette 2L81 necessari a caricarli e a muoverli fino ai campi di battaglia, oltre ai mezzi di trasporto truppe. Alla lista, il Wall Street Journal aggiungeva inoltre radar per batterie antiaeree S-400 e S-300. Senza contare i militari russi e i mercenari stranieri sbarcati indisturbati in Cirenaica.
Le stesse modalità di consegna dovrebbero riguardare i sistemi missilistici nella base militare di Sebha, capoluogo del Fezzan libico, controllato dal generale Khalifa Haftar, nell’eventualità che si realizzi il piano russo di schierare armi a medio e lungo raggio in direzione dell’Europa.
Una minaccia aperta, una provocazione intollerabile che attualmente, sulla sponda meridionale del Mediterraneo, non può essere contrastata se non con l’operazione Irini (che in greco significa "pace"), lanciata il 31 marzo 2020 con l’obiettivo di sostenere il processo di pace in Libia, attuando le restrizioni imposte dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (risoluzione 1970 del 2011). Irini fa parte dell’approccio integrato europeo alla Libia che prevede sforzi politici, militari, economici e umanitari per portare stabilità e sicurezza nel Paese.
Quando nel 2011 fu la Jamahiryya di Muhammar Gheddafi a lanciare la sfida, una coalizione di Paesi della Nato lo bombardò, autorizzata dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che aveva istituito una zona d'interdizione al volo sul Paese nordafricano. Ieri, invece, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si è limitato ad approvare la risoluzione 2780 (2025), che rinnova per altri sei mesi l’autorizzazione agli Stati membri a ispezionare le navi in alto mare dirette da e verso la Libia, in caso di fondato sospetto di violazione dell'embargo sulle armi.
Il testo, presentato da Francia e Grecia, è stato adottato con 13 voti a favore, nessun contrario e due astensioni: Cina e Federazione Russa. Si tratta dell'ottava proroga dell’autorizzazione prevista inizialmente dalla risoluzione 2292 del 2016, strumento chiave per l'attuazione dell'embargo stabilito con la risoluzione 1970 del 2011, in risposta alla crisi libica.
La misura si affianca ad altre sanzioni come il divieto di viaggio e il congelamento dei beni per individui e gruppi responsabili di minare la pace, la sicurezza e la stabilità del Paese. Nel più recente rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite (S/2025/257), pubblicato lo scorso aprile, si segnala che - nel periodo compreso tra il primo novembre 2024 e il 14 aprile 2025 l'operazione EuNavFor Med - "Irini" dell'Unione europea ha effettuato 2.271 contatti radio, 38 ispezioni consensuali e due ispezioni formali di imbarcazioni. Nessuna confisca di materiale vietato è stata riportata.
Come già avvenuto negli ultimi due anni, la Russia ha espresso scetticismo sull’efficacia dell’operazione, lamentando ispezioni selettive e mancanza di trasparenza. Anche la Cina ha motivato la propria astensione citando preoccupazioni simili, pur non opponendosi direttamente al rinnovo. Nonostante le riserve, la risoluzione è stata approvata con un ampio consenso. Del resto, le misure previste non impediscono di riequilibrare gli assetti strategici e militari nell’area né tanto meno risultano efficaci per riunificare la Libia sotto un unico governo. Resta ancora in vigore la legge del più forte.